Pasquale Mazzocchi, l’esterno della Salernitana sta facendo parlare di sè per un siparietto in ritiro, ma prima di giocare ha fatto di tutto.
Pasquale Mazzocchi, esterno con i sogni centrali o centrati. La sostanza non cambia. Un ragazzo cresciuto con il mito del calciatore che arriva in Nazionale. Una storia inflazionata, forse, ma affatto scontata. Specialmente se, come lui, vivi in povertà dove perfino sognare è un lusso. Capita quando hai una famiglia numerosa: i Mazzocchi sono sei figli. Ognuno con le proprie ambizioni.
Quando hanno capito che Pasquale voleva fare il calciatore non è stato facile: in primis per lo scetticismo e poi per la precarietà. Giocare a calcio non necessariamente fa rima con fama, prima serve gavetta. Tanta gavetta, spesso senza garanzie. Chi può gioca, ma arriva un momento in cui diventa vietato giocare con il proprio futuro. L’esterno campano ammette che è stato spesso sul punto di mollare: “Molti credono che la vita del calciatore sia tutta rose e fiori – racconta – ma non è così. Più volte pensavo di mollare. Ho resistito grazie alla mia famiglia che ha sempre dimostrato di credere in me”.
Pasquale Mazzocchi, esterno giorno: la convocazione in Nazionale sembra un film
Sì perchè la realtà è che Pasquale è andato a Benevento da solo per poter giocare e ritagliarsi un posto, poi la Salernitana, ma molto dopo e ora la Nazionale: c’è anche lui nel nuovo corso di Roberto Mancini. “Quando i miei hanno saputo della convocazione in Nazionale, non ci credevano. Piangono da tre giorni per la felicità”. Un ritratto d’altri tempi, con la famiglia che aspetta e applaude: alcuni pensano sia oppressione, ma in realtà si chiama premura.
La stessa che ha avuto il ragazzo appena ha visto che le cose con il calcio potevano mettersi male: “Non era detto che riuscissi a sfondare, quindi per pagarmi la scuola calcio e aiutare in casa – spiega – ho cominciato a fare il fruttivendolo”. Maradona palleggiava con le arance. Mazzocchi le vendeva. A maggior ragione, adesso, quella maglia azzurra la sente come una seconda pelle: “Voglio tenermela stretta e non dare nulla per scontato: non ho ancora fatto niente”, conclude.
Dal ritiro della Nazionale una lacrima è scesa, nella stessa stanza dei suoi idoli. Questo si chiama lieto fine e, per quanto si voglia evitare il pensiero, resta uno dei momenti attesi per una vita intera. Troppo presto per i titoli di coda, non abbastanza per una pacca sulla spalla. Anche due. Il resto lo dirà il campo.