La Roma esce dalla sconfitta con l’Atalanta con un’unica certezza: Josè Mourinho. Il paragone con l’Inter del Triplete.
Roma smarrita, ma tutt’altro che rassegnata. Questa può essere la sintesi della gara dell’Olimpico che ha visto trionfare – seppur di misura – l’Atalanta di Gasperini in quello che era e resta uno scontro diretto. La Dea si candida a essere protagonista, come dimostra la classifica, ma anche i giallorossi non sono da meno: la sola certezza da cui ripartire si chiama Josè Mourinho.
Il merito dell’allenatore è quello di riuscire a mettere ordine nel caos: lo spogliatoio continua a seguirlo, lo stesso fanno i tifosi, ma la sua qualità più grande non è stimolare i calciatori – anche se ci riesce benissimo – ma sobbarcarsi il fardello di critiche che investe il gruppo dopo una campagna acquisti sontuosa e qualche infortunio di troppo. L’atmosfera, a Roma, in questo periodo è tutt’altro che rassicurante con la tifoseria spaccata tra quelli che vorrebbero la testa di Mou e chi, invece, difende lo Special One: oneri e onori dell’essere parafulmine.
Il tecnico portoghese, infatti, è molto bravo a catalizzare l’attenzione su di sé. Alcuni lo chiamano egocentrismo, i più attenti notato che si tratta di strategia. Adirarsi contro gli arbitri e catalizzare ogni critica su di sé fa parte di un piano preciso volto a isolare la squadra dal resto delle schermaglie: Mourinho cattura tutto il malcontento di una parte dell’opinione pubblica e lo converte in grinta. Quella la restituisce ai giocatori, ma il resto rimane fuori. Una bolla dalle perplessità e polemiche, quello che serve per ritrovare la rotta.
Lo faceva anche con l’Inter che ha vinto tutto: “Io non sono un pirla” e altre frasi iconiche al vertice delle polemiche per distogliere l’attenzione dalla squadra. Quel collettivo è diventato devastante anche, e soprattutto, perchè aveva una guida disposta a farsi carico delle avversità. Non è solo questione di responsabilità, ma è in particolare voglia di ritrovare stimoli: un gruppo unito ci mette meno e vedere l’allenatore che si espone in questo modo fa sentire i giocatori parte di qualcosa.
Suggestione affatto scontata, non tutti ci sono riusciti a Roma. Lo Special One, al suo secondo anno in giallorosso, sta ponendo le basi per una peculiarità che non è sul mercato: la complicità. Gli effetti si vedono sul lungo periodo, come insegna la finale di Tirana. La Roma adesso ha spostato l’asticella: l’importante è che a muoversi sia anche la classifica.
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