Luis Figo cambiò i destini di una nazione, squarciando “El Clasico” tra insulti e provocazioni: tutta la verità in un documentario.
Una sedia, l’aria contrita, atmosfera da Norimberga. Poi la radio: le urla, gli insulti, il telecronista dalla voce strozzata. “Mai vista una cosa del genere al Camp Nou. Una tragedia sfiorata”. Questo era – e forse resta – il passaggio di Luis Figo dal Barcellona al Real Madrid: il trasferimento più emblematico di tutti i tempi.
La storia ha bollato l’ex Inter come traditore, ma non è stato detto tutto. O meglio: non abbastanza. Allora, dopo più di vent’anni, la parola la prende il portoghese. In maniera netta, con un documentario che ha l’aria di un processo. Gli interpreti e i protagonisti di quella – clamorosa – trattativa presi e messi su una sedia: la resa dei conti. Netflix gioca d’anticipo e abbatte le voci sulle speculazioni coinvolgendo direttamente l’ex attaccante: un sì senza esitazione il suo. “Hanno parlato tutti – sottolinea ne “El caso Figo” (così si chiama l’opera) – ora è il momento della mia verità. Solo io so com’è andata”.
Luis Figo, il tradimento al Barcellona: la verità in un documentario
“Solo” è un termine riduttivo perchè i tasselli di questo mosaico intricato, che ha portato alla realizzazione di una vera e propria inchiesta in grado di intrecciare cronaca e calciomercato, sono diversi: in primis troviamo i due presidenti, Florentino Perez e Joan Gaspart – il bianco e nero di questa faccenda – poi c’è l’agente del giocatore Josè Veiga e Paulo Futre (ex giocatore e idolo di Figo, entrato a far parte del suo entourage) e infine il calciatore più popolare di inizio millennio.
Figo arriva al Barcellona dallo Sporting Lisbona a metà anni Novanta: è il salto di qualità, la grande occasione. L’uomo si identifica immediatamente con i valori del club, diventa un “tifoso” in campo. Incarna perfettamente quel che vuole la dirigenza blaugrana: un legame indissolubile destinato a spegnersi verso il Duemila. Le ragioni sono solo apparentemente economiche: “La verità – racconta Figo in quello che è un documentario senza sconti – è che volevo sentirmi apprezzato. Il Barcellona ha iniziato a trattarmi come se non fossi nessuno: si tratta sempre di una relazione. Se non sei corrisposto, vai altrove”.
Di mezzo tante possibilità: addirittura l’ipotesi estrema di far saltare tutto all’ultimo, la causa principale sarebbe stata un pre-contratto che avrebbero firmato Perez e Veiga in cui ci sarebbe stato scritto che se Figo non avesse onorato il trasferimento a Madrid sarebbe scattata una penale di 30 milioni di euro. 60 miliardi delle vecchie lire. Tutto fatto in segreto, tra Spagna, Portogallo e Italia.
La trattativa in segreto: il pre-contratto della discordia
L’ex attaccante, infatti, passava le vacanze in Sardegna e proprio nello Stivale l’avrebbero convinto a far saltare il banco. Passare da Barcellona a Real Madrid non è solo una scelta economica, ma una volontà precisa che ingloba anche valori sociali: la Catalogna – per tutto quello che rappresenta – non perdona determinati voltafaccia.
Figo, con quest’opera, prova a metterci una pezza ma non è facile: togliersi l’etichetta di “traditore” che il popolo Blaugrana gli ha affibbiato non è semplice. Ancora oggi, dopo vent’anni e più, resta una ferità aperta: “Per colpa di Figo – chiosa Gaspart – io sono il Presidente peggiore della storia dei catalani. Mentre Perez con lui ha spiccato il volo”. Madridista che, con l’ingaggio del portoghese, diede inizio all’era dei “galacticos” e cominciò il lungo corso alla presidenza dei Blancos.
Gli interessi prima dei valori
“El caso Figo” non è solo una “liberazione” da parte del calciatore, ma è anche un’occasione per fare chiarezza dopo anni di vessazioni e minacce che il campione ha ricevuto. La vicenda resta intricata, non solo per la fuga di notizie che c’è stata, ma anche per tutti gli intrecci che hanno finito per dipingere un colpo di mercato in un tiro mancino senza precedenti: l’affaire Figo eleva il calciomercato a vero e proprio business.
Cifre, interessi e priorità schiacciano – forse per la prima volta – i valori e gli ideali di due società che finiscono con diventare (anche per i tifosi) più aziende che altro. Forse la rabbia collettiva deriva proprio da un’amara certezza concretizzatasi nell’estate del nuovo millennio, in grado di spazzare qualsiasi convinzione.