Aurelio De Laurentiis nel bel mezzo di una rivoluzione: il Patron partenopeo sta cambiando atteggiamento e fondamenta della squadra.
Aurelio De Laurentiis, una vita nel cinema insegna a guardare la quotidianità con più disillusione: un produttore ha a che fare ogni giorno con delle storie, forse per questo sceglie certi ambienti. Così può ascoltare le vicende degli altri, sponsorizzarle anche, e pensare che non sia già tutto deciso.
Gassmann, Vittorio, soleva dire che i cinema sono come le chiese: le persone i propri peccati li confessano lì. De Laurentiis, magari, fa i conti con le proprie mancanze attraverso il grande schermo: una storia piuttosto che un’altra suonano come sfide perenni, quelle che lui – come ognuno di noi nel proprio – certe volte ha rimandato per esitazione o semplicemente per timore.
Napoli, De Laurentiis allergico agli “idoli”: la rivoluzione di mercato partenopea
Errare è umano, perseverare è diabolico. Quindi quando passano i titoli di coda, occorre tornare alla vita reale. Quotidianità fatta di scadenze e priorità che racchiudono anch’esse storie inedite e per certi versi originali. Il calcio è ricettacolo di favole perenni, De Laurentiis con il proprio ruolo – quello di Presidente, stavolta – ha il potere di spegnerle oppure no. Si veda, per esempio, il caso Insigne: una vera e propria storia d’amore a cui è mancato soltanto il lieto fine.
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Secondo molti l’ha tolto, sarebbe meglio dire risparmiato visto che le divergenze erano di natura economica, il Presidente azzurro. L’uomo spegne qualsiasi concetto favolistico legato al calcio: non esistono (più) idoli, non servono bandiere, occorre pensare agli obiettivi. Il profitto al posto dei sogni, così Insigne è diventato un indisponente nel muro contro muro e De Laurentiis l’avrebbe messo alla porta. Questo l’alibi che si è dato.
Per Mertens, invece, la storia è diversa ma con molte similitudini: un uomo che ha costruito la propria napoletanità acquisita come un valore aggiunto anziché un fardello, costretto però ad arrendersi alla più triste evidenza. “Nessuno – dice – mi ha chiamato per rinnovare”. Dopo anni di sudore, gol e lacrime, trattato come uno di passaggio. Il sentore della piazza è questo.
Insigne e Mertens dolci ricordi, ora tocca a Koulibaly: un uomo, un destino
Se nei primi due casi è possibile – anche – parlare di severità da parte dei tifosi, riesce più difficile farlo con la terza “favola partenopea” alimentata ai piedi del Vesuvio: Kalidou Koulibaly. Senegalese all’anagrafe, partenopeo acquisito: leader difensivo, uomo spogliatoio, attaccato alla maglia come pochi. L’unico in grado di usare pubblicamente – in un’intervista all’estero – il concetto di città-Stato per definire Napoli e il Napoli: “L’atmosfera è quella di quando si gioca per la Nazionale – sottolinea – è un cuore pulsante che non smette mai di battere”.
Questa fedeltà potrebbe ulteriormente essere messa in discussione perchè di rinnovo – nemmeno stavolta – se n’è parlato. O meglio: non ancora. De Laurentiis, dopo l’esodo dei senatori, prende tempo. L’impressione, però, è che non ce ne sia più. Quando si gioca con la clessidra, bisogna avere ben presente il confine tra realtà e finzione: nel nostro mondo, ciò che trascuri se lo prende qualcun altro.
Profitto e passione: l’eterna lotta dei sognatori
Magari il Patron con la “cacciata” da Napoli di Insigne e Mertens ha voluto dimostrare che conta solo la maglia: dirlo è facile, metterlo in pratica un po’ meno. Un palazzo, senza pilastri, difficilmente regge. Se il belga e il napoletano non lo erano, difficile pensare chi altri possa esserlo. Anzi, uno c’è: ancora per poco. Qualora De Laurentiis dovesse lasciar andare anche lui, l’effetto boomerang sarebbe dietro l’angolo: una squadra di calcio è un’azienda esattamente come le produzioni cinematografiche, entrambi però senza mordente – in questo caso senza lieto fine – non vanno avanti.
Koulibaly è l’unico lieto fine disponibile: il solo fattore che convincerebbe la piazza ad avere ancora qualcosa in cui rispecchiarsi. Qualcuno da prendere a modello. Il calcio è contrapposizione, ma anche rappresentanza. Conta il profitto – come al cinema – ma poi a farla da padrone sono le emozioni: quelle riempiono gli stadi. Il difensore (e qualcun altro) l’ha capito, ma a quale prezzo? Nei prossimi giorni potremmo scoprirlo.