Dries Mertens è ad un passo dall’addio al Napoli: manca l’accordo con Aurelio De Laurentiis, protagonista di una triste caduta di stile manageriale
C’è chi è tifoso del Napoli da una vita intera, chi ancora segue la squadra come una religione e chi ha perso l’amore e l’interesse di un tempo. Qualcuno ha iniziato a supportare i colori azzurri da pochi anni, per scelta o motivi anagrafici. Una cosa è certa, chi ha abbracciato questa fede, sa che dovrà imparare a vivere emozioni portate all’estremo, nel bene e nel male.
Le gioie sono “più gioie” di quelle degli altri e le cadute fanno più rumore che in altre città. Si portano con sé strascichi, ferite, cicatrici a volte anche pettegolezzi degni di due vecchiette affacciate al balcone di un antico palazzo nei vicoli della città.
Perché per Napoli, il Napoli, è molto di più di una semplice squadra, è la rappresentazione di un modus operandi di vivere. Una cultura radicata, un grande amore, fatto anche di forti delusioni. Ed i giocatori che ne vestono la maglia, si trasformano, chi più, chi meno, in un cittadino aggiunto, con un gravoso peso: quello di dover meritare quell’amore.
C’è chi, nel corso della storia, ha saputo, in maniera del tutto naturale, cogliere in pieno questo aspetto. Da 9 anni, ad esempio, c’è un belga che ha scritto la storia del Napoli, è diventato il suo miglior goleador, ha assunto il soprannome di Ciro, che è diventato anche il vero nome di suo figlio, napoletano al 100%. Parliamo, ovviamente di Dries Mertens.
Mertens, l’amaro addio che De Laurentiis poteva evitare
Nel recente passato era riuscito nella stessa impresa anche Ezequiel Lavezzi, genio e sregolatezza, cuore e fantasia. L’incarnazione di uno scugnizzo nato però in Argentina. Perché a Napoli e ai napoletani, i giocatori piacciono così: funambolici e sorridenti, con la giusta irriverenza di chi sa il fatto suo.
Si dice che ogni cosa ha una fine e per Dries Mertens sembra realmente giunto il capolinea. A 35 anni, dopo una stagione da 13 gol, le strade con il suo Napoli e con la sua Napoli appaiono ormai sempre più distanti. Perché, a volte, bisogna tornare sulla terra e smettere di viaggiare con la fantasia di un romanticismo calcistico ormai morto.
E allora via libera a cifre, numeri, incastri, richieste, commissioni. L’attaccante avrebbe richiesto 4 milioni di euro a stagione, il presidente De Laurentiis gliene elargirebbe 1,5. Una distanza immensa, che rischia di porre fine ad una splendida storia, senza il giusto commiato.
Quello che rattrista di più, però, non è la scelta dirigenziale e su questo aspetto è giusto entrare nel merito. Il presidente De Laurentiis ha da sempre dimostrato di pensare al Napoli come un’azienda e mai come nel 2022 è una visione giusta, perché è quello in cui si sono definitivamente trasformate le squadre di calcio.
Per mantenere il bilancio in attivo andranno abbassati i monti ingaggi e quei 4 milioni ad un 35enne, per lui, sono troppi. Allora si fa un passo indietro, ci si augura il meglio e ci si saluta con il giusto rispetto e amore della piazza. Questo si farebbe in un contesto sano. Ma non è quello che avverrà.
Se c’è un difetto che nel corso degli anni hanno (ed ho anche io) imputato al presidente del Napoli è una pessima comunicazione. Perché chi vive la città, sa perfettamente l’epiteto con cui viene ormai chiamato da anni. Una scelta che, personalmente, non ho mai condiviso, dato che da imprenditore ha saputo saltare nel vuoto quasi 20 anni fa, prendendo un club fallito, riportandolo in Serie A, arrivando alla Champions League e potendo vantare di essere il secondo presidente ad aver vinto più titoli di qualunque altra gestione precedente.
Tanta riconoscenza, ma per attitudine proprio non va. Se parli di Mertens, un pezzo di storia del Napoli, come un personaggio qualunque, quasi a renderlo un possibile traditore, allora hai già perso in partenza.
Per certi versi, questa vicenda, ricorda l’estate del 1997, quando i Chicago Bulls avevano appena vinto il loro quinto titolo in sette anni, possedevano una squadra devastante, ma la voce che prendeva sempre più quota era quella dello smantellamento.
I giocatori avevano ormai dato tutto, bisognava rifondare, ma come ci ha insegnato la prima puntata della serie The Last Dance, in una conferenza stampa fu Michael Jordan in persona, parlando ai propri dirigenti, a dichiarare: “Abbiate rispetto di chi ha reso questa squadra un business così redditizio”.
Ecco, nelle parole di Jordan c’è il riassunto di questo articolo. Da giornalista, ma ancor prima da appassionato, trovo indecenti le modalità in cui si stia quasi cacciando Dries Mertens dal Napoli. Non attacco i motivi, non biasimo la scelta di puntare sui più giovani, forse non la condivido perché reputo Mertens ancora un valore aggiunto anche sul campo, ma posso arrivare a comprendere. Quello che proprio non si può tollerare è lo sminuire la figura di un uomo che ha dato tutto per un popolo, fino a diventarne parte integrante.
Lasciar andar via Dries Mertens lo reputo un errore anche in termini di lungimiranza. L’insegnamento maggiore ce lo ha dato il Milan, acquisito da un fondo come Elliott, che di calcio ne sapeva ben poco, e che ha voluto solo approfittare di una buona occasione in Italia, ma che allo stesso tempo ha saputo affidare la squadra a uomini di campo come Paolo Maldini. Il risultato è stato uno Scudetto vinto senza alcun favore del pronostico.
E allora perché Dries Mertens non può chiudere con dignità la carriera al Napoli, diventandone magari un dirigente e aiutando il brand a crescere con o senza Aurelio De Laurentiis? La risposta è forse nelle righe scritte fin qui. La sopracitata impresa appartiene ad una sola persona, ad un imprenditore che, tra tante soddisfazioni regalate ai tifosi, questa volta, è caduto di stile, uccidendo definitivamente l’amore di un popolo per la “vile moneta”.
Visualizza questo post su Instagram