Due aspetti complementari aiutano a capire le difficoltà della Nazionale di Roberto Mancini dopo il trionfo a Euro 2020
C’era una volta il campionato più bello del mondo. Inutile cullarsi nella nostalgia e nel fascino di uno slogan ormai stantio. L’Italia e il campionato di Serie A non costituiscono più un’attrattiva per i grandi talenti del calcio europeo. Ma la quantità di stranieri presenti nella nostra Serie A spiegano solo in parte le attuali difficoltà della nazionale di Mancini.
La figuraccia contro l’Argentina a Wembley e il pareggio in Nations League contro la Germania, dopo la seconda mancata qualificazione ai Mondiali nelle ultime due edizioni, non si possono semplicisticamente spiegare solo con l’abbondanza degli stranieri.
Oltre al numero degli stranieri presenti, non c’è dubbio che lo spazio a loro riservato sia molto elevato. La Serie A è il campionato in cui il tempo di permanenza in campo degli stranieri è più alto tra le cinque principali leghe europee.
E fra le 20 squadre di Serie A, nella stagione 2021-22 solo cinque hanno riservato agli italiani più del 50% del tempo disponibile in campionato. La più autoctona, come rivelano i dati dell’osservatorio svizzero sul calcio CIES, è l’Empoli, che agli stranieri ha riservato solo il 37,5% del tempo complessivo. Seguono Genoa (42,6%), Cagliari (46,2%), Sassuolo (48,4%) e Sampdoria (48.5).
Ma questa è solo metà della storia. L’altra la racconta sempre il CIES nel suo più recente approfondimento settimanale. L’analisi si concentra sul numero di calciatori espatriati da ottanta nazioni, le più rappresentate in 135 campionati nel mondo, e sulle loro destinazioni.
La nazione che esporta più calciatori è il Brasile (1.219), seguita da Francia (978) e Argentina (815). L’Italia è una delle principali destinazioni per i calciatori nati in ciascuno di questi tre Paesi.
Proprio il confronto con la Francia, la nazione che ha registrato il più cospicuo aumento di calciatori impegnati all’estero rispetto al 2017, fa emergere l’altra causa delle difficoltà per l’Italia di Mancini.
Intanto, spicca un elemento numerico: i calciatori italiani all’estero censiti dal CIES sono 152, ovvero poco più del 15% rispetto ai francesi. Fra loro anche Wilfried Gnonto, attaccante dello Zurigo che ha servito a Pellegrini l’assist per la rete del vantaggio azzurro contro la Germania.
Poi c’è un altro elemento da considerare: dove vanno a giocare i nostri talenti? Anche qui il confronto con la Francia è eloquente. Nelle prime dieci destinazioni più frequenti per i francesi figurano le nazioni degli altri quattro grandi campionati europei (Germania, Inghilterra, Italia, Spagna.
L’Italia, invece, esporta giocatori solo in 48 delle 88 nazioni oggetto della ricerca. E la graduatoria delle dieci nazioni che ospitano giocatori azzurri dimostra quanto il nostro calcio sia diventato poco attrattivo all’estero.
La più nutrita comunità di calciatori italiani, infatti, è a Malta (15). Seguono Bulgaria e Romania (12), Turchia (11), Francia, Portogallo e Slovenia (7), Albania e USA (5). Solo quattro, ad esempio, gli italiani in Inghilterra e in Spagna.
Di fatto, nessuno dei due elementi preso da solo spiega perché la Nazionale stia facendo così fatica dopo la conquista dell’Europeo a Wembley nell’estate del 2021.
Ma presi insieme danno la fotografia di un campionato esterofilo e di un movimento calcistico che invece ha orizzonti molto più ristretti. Due segnali di una competitività minore. E questo finisce per coinvolgere anche la Nazionale e il suo ct chiamato a fare il massimo con quello che ha.
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