Serie A, il concetto più ricorrente è costruzione dal basso per rimpolpare le rose. Tra il dire e il fare c’è di mezzo un sistema antiquato.
Serie A, dilemma Nazionale. L’eliminazione dai Mondiali dell’Italia ha portato nuovamente il sistema calcio ad interrogarsi: se l’ultima volta il capro espiatorio era stato soltanto Ventura, ora l’allenatore è stato graziato – in nome di un Europeo vinto – e ci si è cominciati a porre altre domande.
Il gruppo funziona? La risposta è sì, ma è impossibile – o meglio: impensabile – vedere a Coverciano sempre le stesse facce. Questione di riconoscenza: gioca chi vince, ma alla lunga si diventa prevedibili. Un buon Commissario Tecnico deve (anche) saper interpretare i momenti. Vedere quando è bene schierare l’usato sicuro e quando, invece, conviene prendersi qualche rischio.
Anche contro l’Argentina, a Giugno, giocheranno sempre gli stessi che hanno vinto l’Europeo: “Senza di loro non saremmo qui oggi”, ha detto Mancini. Eppure l’Italia è quella che – da Campione d’Europa in carica – non sarà neanche al Mondiale. Per la seconda volta di fila.
Ci sono giocatori, tipo Florenzi, che rischiano di non disputare nemmeno un Campionato del Mondo. O disputarne uno quando sono già in età da ritiro: il Mondiale come premio di consolazione. Questa non può essere una cultura sportiva degna di un Paese che nel 2021 ha vinto tutto il possibile sul piano sportivo: miracolo o progettazione? Il dilemma persiste.
La risposta ai dubbi dovrebbe chiamarsi “costruzione dal basso”: concetto abusato, ma mai compresa effettivamente. Tradotto significa che i settori giovanili dovrebbero fare da raccordo con la prima squadra: il Barcellona, con la propria cantera, insegna. In Italia, forse, c’è la cantina.
Nel senso che, spesso, i giocatori più giovani finiscono nel dimenticatoio. A parte le eccezioni, tipo Zaniolo e Raspadori, ma il merito – stavolta – è di Mancini che li ha convocati in Nazionale sulla fiducia, prima ancora che iniziassero a giocare da titolari in Serie A. Da allora ne è passata di acqua – anche per le lacrime versate – ne è passata sotto i ponti.
Eppure il concetto di giovani applicati al calcio che conta ancora latita: cosa che all’estero, invece, ha preso piede. Mourinho è considerato un visionario per aver messo in campo Felix Afena Gyan, o aver lanciato in Serie A diamanti grezzi come Zawleski e Bove. Bastoni: fino a qualche tempo fa, nell’Inter, era un oggetto misterioso.
Zaniolo, venuto a Roma nell’affare Nainggolan, sembrava destinato ad essere una meteora. Invece si è preso tutto, e se l’è preso bene: al punto da diventare irrinunciabile. Il fattore comune deve essere un costante raccordo fra prima squadra e Primavera, per poi scendere gradino dopo gradino sino ai Pulcini. Le nuove leve, purtroppo, in Italia, vengono ancora viste come ripiego rispetto ai titolari inamovibili: basti pensare che l’Italia è quartultima nell’utilizzo delle seconde linee negli appuntamenti che contano.
Nessuno rischia più, a parte le coronarie quando arrivano le brutte notizie dal campo: poca pazienza, massima pretesa. Binomio folle che indebolirà inesorabilmente l’intero movimento. C’è chi prova a opporsi a questa tendenza, con qualche risultato. Quando vedremo un allenatore di prima squadra prendere visione adeguatamente del percorso giovanile, allora vorrà dire che per questo calcio – forse – non è ancora tutto perduto.
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