Capello è entrato a gamba tesa sullo stato del calcio italiano e della Serie A, esponendo senza mezzi termini i colpevoli della crisi.
Negli ultimi giorni si sono lette e sentite molte dichiarazioni su tattiche e filosofie di gioco. Dagli spunti forniti dall’ultimo turno di Champions League, alle dolenti qualificazioni per il Mondiale, è tutto vortice di critiche che piovono da ogni dove. Arrigo Sacchi ad esempio ha severamente criticato Simeone ed il Cholismo, definendolo roba da preistoria. Un altro grande maestro del nostro calcio, Fabio Capello, ha invece mosso una dettagliata critica verso quello che non funziona più nella Serie A.
Come giusto che sia i maestri salgono in cattedra, regalano consigli ma soprattutto bacchettano e ne hanno per tutti. E’ sostanzialmente questo lo scenario che si è delineato negli ultimi giorni. Una sorta di “royal rumble” tra allenatori, a colpi di invettive e critiche costruttive. Da Sacchi e Guardiola contro Simeone a Capello contro Guardiola, tra vecchia e nuova scuola, a cavallo tra gli spareggi Mondiali ed i quarti di Champions League.
Se Sacchi come abbiamo visto è stato parecchio severo nei confronti del Cholo, Fabio Capello nello specifico non ha propriamente “attaccato” Guardiola. Il discorso di Don Fabio è un esame dello stato di salute del calcio italiano, con tanto di diagnosi.
Capello: Siamo rimasti indietro
“Seguitiamo a copiare ciò che faceva Guardiola 15 anni fa. – ha sentenziato Capello – Stiamo aiutando gli avversari a batterci, dobbiamo guardare il modello tedesco”. Il ragionamento poi si è spostato anche su un altro ambito tecnico del gioco in Italia, che secondo il tecnico friulano starebbe danneggiando enormemente il calcio italiano.
“Le partite di Serie A sono tutta un’interruzione. Si ferma il gioco ogni minuto e così i nostri club non imparano a mantenere un ritmo alto. Siamo rimasti indietro, in ogni senso. – ha affermato Capello – Il problema principale però è che manca il confronto con i migliori, perché i campioni non vengono più in Italia. I giocatori non imparano niente se chi dovrebbe aiutarli a crescere è dello stesso livello, con le stesse conoscenze ed esperienze“.