Guerra in Ucraina, da Malinovskyi a Miranchuk, diversi elementi negli spogliatoi di Serie A stanno vivendo il conflitto ucraino da vicino.
Guerra in Ucraina, la situazione è critica. Un conflitto che sta cambiando persino la concezione di sport: a Kiev il campionato di calcio è sospeso, perchè di giocare non ha voglia nessuno. Altrove la palla rotola, ma forzatamente, perchè se potessero anche gli altri incrocerebbero le braccia: il calcio è sempre stato sinonimo di felicità.
Quella che oggi, purtroppo, è merce rara. Non si può bloccare tutto in corso d’opera, ma riflettere sì. Allora i calciatori che scendono in campo lo fanno più consapevolmente. Come accade per Malinovskyi e Miranchuk, uno ucraino e l’altro russo. Sul campo di battaglia – teoricamente – avversari, nella vita compagni.
Loro la situazione la stanno vivendo da lontano: lo Stivale li protegge dalle avversità, ma gli occhi della guerra non dormono mai. Quelli rimangono sempre all’erta pronti per sconquassare anche il minimo barlume di normalità: non si arrestano le telefonate da quei luoghi. Dove sia uno che l’altro hanno affetti, parenti. Legami che sul piano territoriale non possono essere dimenticati.
Nessuno li ignora, tantomeno loro che, pur a distanza, non perdono occasione di abbracciarli con il pensiero. Fisso, azione dopo azione, allenamento dopo allenamento. Gasperini gli ha chiesto se volessero giocare normalmente: Miranchuk e Malinovskyi hanno risposto di sì.
Il calcio come risposta alle bombe. Forse questo è il messaggio più significativo, al netto del fatto che poi le emozioni restano in un frullatore emotivo e personale che ogni notte torna come una condanna. Quella di essere trascinati in qualcosa più grande di loro. La guerra, vista nei documentari, ora si vive. Un giorno alla volta, quando dietro agli scarpini rimangono solo i dubbi e gli spogliatoi diventano l’unica trincea contro l’amarezza.
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