Il monologo sul razzismo di Lorena Cesarini al Teatro Ariston tocca dei nervi scoperti che riguardano anche la Serie A.
Lorena Cesarini nella sua serata di ribalta al Teatro Ariston di Sanremo affronta il delicato tema del razzismo: lei, che l’ha vissuto in prima persona, sottolinea – con l’aiuto di esempi illustri – quanto sia difficile scardinare un pregiudizio. L’intolleranza poi determina la volontà di non affrontare certe tematiche: quello che, per certi versi, sta accadendo il giorno dopo la performance della modella.
Il dibattito si sposta sull’eccessivo vittimismo (questo ha recepito la maggior parte degli utenti che in Rete ha espresso perplessità sull’effettiva necessità di alimentare un tema così delicato in termini così forti) che sarebbe stato raggiunto con le lacrime in diretta di Lorena. Persino alcuni giornalisti hanno puntato il dito contro la modella e attrice asserendo che il suo monologo fosse poco credibile: tematica giusta, ma modalità di trasmissione sbagliata. In estrema sintesi.
Volendo, invece, approfondire si potrebbe anche dire che le lacrime di Lorena Cesarini incarnano delle ferite che sono ancora aperte e viaggiano non solo sui palchi importanti di teatri, cinema (il boicottaggio dei Golden Globe Awards è una dimostrazione di quanto lavoro ci sia ancora da fare) e tv ma anche negli stadi.
Le lacrime di Lorena Cesarini rappresentano la voglia di riscatto che non arriva perchè si è sempre troppo impegnati a confondere necessità con piagnisteo: è necessario chiedere a gran voce, anche con qualche lacrima, normalità. E non è detto che, se a chiederla è una donna di colore, pagata per il suo lavoro (com’è stato per la Cesarini a Sanremo), questa sia meno credibile. O peggio ancora “finta vittima” come qualcuno ha detto.
Sono le stesse motivazioni assurde che diedero, non molto tempo fa, a Fiona May. Atleta e campionessa che lavorò per molto tempo all’interno della Federcalcio e della Lega Serie A: si è battuta in prima persona per affrontare il tema del razzismo negli stadi, contro arbitri, calciatori e collaboratori. Nulla. Oltre le solite promesse. Iniziative sterili e tanti luoghi comuni: “Per questo me ne sono andata – ha sempre sottolineato – perchè il problema del razzismo nel calcio non si vuole risolvere”.
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Questo significa che, spesso, la nostra comunità – soprattutto l’opinione pubblica e gli addetti ai lavori – parla del contorno e si rifiuta (i motivi possono essere vari) di andare al cuore del problema: ci si inginocchia, ma l’importante è che non ci si pieghi. Nemmeno a parole: è troppo facile rifugiarsi nel “è solo un pretesto per far parlare”. Di chiacchiere ne è pieno il mondo, così come di pregiudizi.
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Se un’atleta – così come una co-conduttrice – può aiutare a prendere coscienza e cercare di sollevare dibattito con le lacrime ben venga. Sono di coccodrillo? Forse, sì, no. Non è questo il punto. Il problema vero è che è pieno di squali, contro quelli bisogna andare, nel calcio, nello spettacolo e più semplicemente nella vita.
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