Viaggio nella mente di Pep Guardiola alla scoperta di uno dei suoi segreti, la cosiddetta regola dei 32 minuti. Vediamo di cosa si tratta
Un visionario, un allenatore cerebrale, un tattico ossessivo. Le sfaccettature di Pep Guardiola, e del suo modo di costruire le squadre, esaltano la sofisticatezza dell’impianto teorico, il suo pregio e insieme il suo limite. La finale di Champions League contro il Chelsea di Tuchel si è decisa, anche, per un suo tentativo di stupire e andare un passo più in là oltre le attese del rivale.
Il biografo che lo segue da tempo, Marti Perarnau, autore del dettagliatissimo libro “Herr Pep” sui suoi anni al Bayern Monaco, ha rivelato che Guardiola si vanta solo del campionato vinto in quarta divisione con il Barcellona B. Per il resto, racconta, “Pep non pensa di avere un particolare talento come tecnico. Dice soltanto di essere un grande sgobbone”.
Il suo percorso al Barcellona, come al Bayern Monaco e al Manchester City, ha seguito una simile curva di apprendimento. Alla prima esperienza in Premier League, ha detto Perarnau, Guardiola ha vissuto un’esperienza simile a quella si vive imparando una nuova lingua straniera.
“Studi, migliori, credi di saperne tanto, fai progressi ma a un certo punto capita che senti di aver toccato il fondo“. La curva dell’apprendimento, però, consente sempre una via di uscita, il clic per una nuova partenza. Perché per un viaggio diverso servono soprattutto occhi nuovi.
Guardiola, curiosità senza limiti
E Guardiola, come l’ottico reso immortale da Edgar Lee Masters nell’Antologia di Spoon River e poi da Fabrizio De André, non sa che farsene di occhi normali. Costruisce le sue lenti speciali per proiettare la sua visione del mondo sul quale guardare.
La disposizione della squadra in un momento della sfida di Carabao Cup contro il West Ham, con gli undici giocatori allineati lungo i lati di un triangolo perfetto, è il punto più alto di fusione della sua visione del calcio posizionale e del pressing di scuola olandese.
Nella sua gestione delle squadre, nella sua valorizzazione di calciatori in posizioni apparentemente non naturali, c’è molto di più della rielaborazione della scuola calcistica catalano-olandese di casa a Barcellona dall’inizio degli anni Novanta. C’è una curiosità che non si ferma al calcio.
“Pep non crea, innova” ha detto lo chef Ferran Adria, il primo ad aver sperimentato la cucina molecolare che usa le reazioni chimiche per la trasformazione degli ingredienti. Durante l’anno sabbatico che ha trascorso a New York dopo l’addio al Barcellona, Guardiola ha frequentato corsi al Massachusetts Institute of Technology (MIT). Gliel’aveva consigliato proprio Adria, per guadagnare un approccio più scientifico al calcio.
Pep e la regola dei 32 minuti
Guardiola ha in effetti innovato la piramide di Cambridge, uno dei primi moduli nella storia del calcio, e il “falso 9”, il centravanti di movimento già visto nella Grande Ungheria degli anni Cinquanta. Ma dal momento in cui Guardiola ha schierato in quella posizione Leo Messi in un Clasico contro il Real Madrid, la Pulga ha preso il posto di Hidegkuti come “falso nove” per antonomasia.
L’estensione dei livelli di pensiero di Guardiola appare a volte esagerata, come la scelta di aggiungere astrofisici nello staff del Manchester City. In tutta la sua esperienza, è evidente l’importanza che riserva al confronto con altri modelli di ragionamento, altre discipline. Lo dimostra il feeling creato negli anni con il suo assistente.
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Non ha voluto accanto a sé un compagno di squadra, né un tecnico di calcio. Ha scelto Manuel Estiarte, forse il più forte pallanuotista spagnolo di sempre. Era il faro della nazionale sconfitta dal Settebello italiano nell’infuocata finale olimpica di Barcellona 1992 alla piscina Picornell.
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Estiarte ha formulato una regola che sintetizza come funziona la mente di Pep Guardiola. E’ la regola dei 32 minuti. Si tratta del tempo massimo che l’allenatore del Manchester City si concede per non pensare al calcio. “Anche se lo inviti a cena sperando che si dimentichi del pallone – ha detto Estiarte nel libro Pep Confidential -, a un certo punto vedi che la sua mente viaggia da un’altra parte. Probabilmente pensa al terzino sinistro avversario, al modo di marcare i centrocampisti, a come le ali possono sostenere gli attaccanti”.