Chelsea, il coro contro i Blues è considerato reato: chiunque lo canterà sarà perseguibile penalmente contro i crimini d’odio: basta questo?
La voce, spesso, quando è risoluta, viene definita fuori dal coro. In Premier League il problema, paradossalmente, era dentro: i tifosi, da anni, cantavano un coro a indirizzo del Chelsea che doveva essere goliardico invece sfociava nell’omofobia.
“Chelsea rent boys”. La traduzione è facile, ma dal punto di vista semantico la situazione – e l’esito che ne deriva – è più articolata: la frase allude al fatto che i Blues, società e tifosi, venderebbero i ragazzi. Prostituzione. Parole forti, ma il motivo è storico: negli anni ’70-’80, dalle parti di Stamford Bridge, i ragazzi erano soliti – insieme alle ragazze – vendere il proprio corpo per sbarcare il lunario.
Tendenza molto diffusa specialmente per chi arrivava da fuori. Questa antica leggenda, che sfocia nella diceria, è rimasta fino a diventare un coro da stadio: uno sfottò. Almeno lo era fino a poco tempo fa, perchè da qualche giorno la Corte Inglese ha deciso che chi lo canta sarà perseguibile penalmente. Una misura contro i crimini d’odio, il coro – nella fattispecie – per evoluzione e sviluppo – è considerato omofobo.
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Il Chelsea ringrazia e diffonde una nota in cui sottolinea che continuerà ad adoperarsi in favore della comunità LGBTQ in maniera proficua e costante, come faceva già da tempo. Un piccolo passo verso una strada ancora lunga da percorrere.
Finché l’intolleranza verrà arginata a colpi di divieti, avrà perso l’intero sistema calcistico e sociale: un divieto non cancella i pregiudizi, la cultura sì. Per veicolare cultura è necessario che gli allenatori e lo staff tecnico – in generale – attorno al movimento calcistico – insegnino la tolleranza e l’inclusione.
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Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo il controllo: tante ancora sono le denunce di episodi limite, non solo nel calcio inglese, all’interno degli spogliatoi. I giocatori omosessuali si sentono ancora eccessivamente ghettizzati e presi di mira. “In Serie A ce ne sono almeno tre, ma sono terrorizzati”, rivela Vladimir Luxuria. Un silenzio che lascia trasparire ancora un’omertà troppo presente.
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Ne sa qualcosa Josh Cavallo, vittima di insulti omofobi nonostante sia stato il primo a livello europeo a rompere questo tabù. Si prendono in esame i tifosi, ma viene visto poco dentro e fuori gli spogliatoi. La differenza non è un difetto, anche quando torna ad esserci la palla al centro. Nel rettangolo verde, la partita contro l’omofobia non può finire con una sconfitta. Non c’è rivincita e, forse, non c’è neanche più tempo per rimandare. Quelle che oggi sono imposizioni domani dovranno essere obiettivi raggiunti.
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