Oggi va in scena il derby di Genova. Non è una partita come tutte le altre, ecco il perché
Ho il vizio di annotare tutto quello che faccio. Tengo un conto rigorosissimo di tutto: libri, film, concerti, partite che vedo allo stadio, eventi che seguo. Tutto segnato su un database infinito che prima era annotato fitto fitto su un’agenda e ora è diventato elettronico.
Non starò qui a convincervi che il Derby di Genova è il più importante d’Italia o il più bello del mondo. Di derby ne ho collezionati proprio tanti: quelli italiani, tutti… più volte. Ma anche Celtic-Rangers (tre volte), Arsenal-Tottenham (sei) oltre ad almeno una dozzina di altri derby londinesi. Ancora Liverpool-Everton e United-City (tre), un Amburgo-St.Pauli e poi anche due Flamengo-Fluminense al Maracanà e un Boca-River alla Bombonera.
Genoa-Sampdoria, il Derby della Lanterna (e per pietà non chiamatela faro, noi genovesi su questa cosa ci incazziamo moltissimo), per me È il Derby. L’unico. Perché riguarda la mia città, perché mi ricorda mio papà che mi portò per la prima volta allo stadio proprio in un derby, perché è qualcosa che divide e a volte riunisce le famiglie che per ventiquattr’ore – anche se a volte la trance agonistica può durare una intera stagione – porta qualsiasi tifoso a dimenticare di essere marito, moglie, figlio o fratello. E il termine cugino diventa sinonimo di nemico.
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Negli anni in cui ho cominciato a seguire il calcio io il derby era l’unica cosa da vincere. In una città che faceva un milione di abitanti (ora Genova ne conta poco più della metà), il derby era una guerra di religione. A tredici anni avevo le idee confuse: tutti in famiglia stavano da una parte, tutti i miei amici e compagni di scuola esattamente dall’altra. Io sapevo solo che il calcio mi piaceva, che ero scarsissimo a giocare e che l’unico ruolo che mi avrebbe coinvolto sarebbe stato quello di tifoso ma.
In definitiva adoravo andare allo stadio a vedere sia il Genoa che la Samp. E mio papà, direttore di macchina che alternava lunghe trasferte per mare fino in estremo oriente ad attracchi in salotto per coinvolgermi in qualsiasi cosa fosse passione per lo sport (basket, calcio dilettanti e pallanuoto), non si sognava nemmeno di obbligarmi a prendere una decisione. Secondo me perché alla fine gli andava benissimo andare tutte le settimane allo stadio, Genoa o Sampdoria che fosse.
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La prima volta che sono andato allo stadio è stato per vedere una partita di Serie B: mio padre mi portò a Marassi per il derby del 22 ottobre 1978: il Genoa era retrocesso in Serie B l’anno prima con uno degli attacchi più forti della sua storia (Pruzzo e Damiani) raggiungendo la Samp che era in B già dalla stagione precedente. E in tutta onestà erano due squadre piuttosto scarse. Senza nessuna speranza di essere promosse il derby era l’unica cosa che contasse davvero.
Si marcava a uomo: la Samp aveva Garella tra i pali, un attaccante geniale ma matto e un po’ incompreso come Alviero Chiorri (soprannominato il Marziano) e Marcello Lippi che giovava da libero. Il Genoa si appoggiava su un giovanissimo Fabrizio Gorin, scomparso anni fa dopo una tremenda malattia, l’ancora più giovane Bruno Conti all’ala e Oscar Damiani. Ancora non sapevo che di lì a qualche anno sarei diventato un grande amico di Gorin, e che avrei festeggiato un Mondiale sulle prodezze di Conti. Tanto meno che avrei fatto il cronista sportivo. Facevo seconda media, volevo navigare come mio papà: ma l’anno dopo mio padre ebbe un brutto infarto in navigazione e mi fece giurare che avrei scelto qualcosa che non fosse il Nautico. Mi toccò il Classico, la scuola più vicina a casa. E fu un incubo. Ma questa è un’altra storia.
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Lo so, sembrerò stupido. Ma quelli della mia età che all’epoca non avevano ancora la tv a colori potranno capirmi. Quando dai vecchi ponti elicoidali del meraviglioso “Ferraris” dell’epoca spunta il colore smeraldo del campo rimasi a bocca aperta: “Ma è verde…!” mi scappa di dire a mio padre.
“Certo che è verde – risponde papà – è un prato”.
Ma io di campi in erba non ne avevo mai visti, anche perché a Genova i campi dei dilettanti erano tutti in terra battuta, e per me il manto del campo di calcio era una patina di color grigio topo sul teleschermo del nostro Metz in bianco e nero: quella sì che fu una grande sorpresa.
Il Genoa vinse 2-0 con una doppietta di Oscar Damiani: mio padre non la prese bene, e prese anche meno bene il fatto che forse anche a causa di quella esperienza io abbia scelto di stare con l’altra squadra della città. Una scelta che fu definitiva due anni dopo al termine di un derby rocambolesco e indimenticabile. Genoa due volte in vantaggio (primo gol di Gorin che disse “se segno regalo la maglia a Chiorri”), due volte raggiunto e battuto da una rete di Roselli.
In realtà fu merito di mio papà e della sua elasticità mentale se non sono mai riuscito a essere completamente tifoso. Non ho mai dimenticato che fratello e papà non erano certo cugini e che alcuni dei miei migliori amici, pure un paio di fidanzate, erano dall’altra parte.
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Ho deciso di affrontare il mio lavoro con spirito di servizio fidandomi di quanto un grande maestro mi disse: “O fai la guardia o fai il ladro, lascia che a fare i tifosi siano quelli che non lavorano. Tu fai il cronista perché la tua credibilità è l’unica cosa che vale la pena di tutelare”. E così cercai di fare.
Cosa semplice perché il Genoa e la Sampdoria, finché lavorai nella mia città, mi riservarono molte gioie ma anche tanti dolori che a volte mi hanno fatto rimpiangere il modellismo navale, altra passione di mia papà.
Sicuramente non avrei mai pensato che qualche anno dopo sarei stato testimone di una Sampdoria campione d’Italia e della semifinale in Coppa Uefa del Genoa come giornalista. Ma come io ero uno studente mediocre anche il Genoa e la Samp finirono quel campionato in un anonimo centroclassifica con Udinese, Cagliari e Pescara (allo spareggio con il Monza) che andarono in Serie A.
Forse è anche per questi ricordi e per i tanti tornei di B che ho seguito che sono profondamente legato a questo derby: ai reportage di una TV locale che non esiste più (si chiamava TVS) che mi convinse che lavorare per una TV locale fosse una figata pazzesca. E alla mitica trasmissione di Paolo Valenti “Novantesimo Minuto” che ogni settimana si collegava con Genova proprio per una finestra della Serie B. Genova Capitale del calcio cadetto: oggi magari suona un po’ triste. Ma Genova resta ‘Superba’ indipendentemente da questo.
Non voglio convincervi che il Derby di Genova sia il migliore, il più bello, il più acceso. Ma è il mio, ognuno ha il suo, e ognuno pensa che il proprio sia speciale. Io ho cercato di spiegare perché questa sera guarderò il mio derby pensando a mio papà e al terzo anello, quello là in alto, lui e tanti amici che non ci sono più e che mi hanno fatto diventare quello che sono, per una sera, saranno cugini. Prima di tornare parenti più stretti e unirsi sotto una Lanterna che da mille anni, nonostante tutte le grane e le ferite della nostra città, continua a illuminarci e ci scalda il cuore.
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Qui sotto un documento video straordinario. Il primo derby che ho visto, 22 ottobre 1978, raccontato da Beppe Barnao di TVS con le immagini e le dichiarazioni dei protagonisti a bordo campo. Un altro modo di fare informazione che purtroppo non esiste più.
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