Qatar 2022, Nasser Al Khater, Direttore Esecutivo della manifestazione, ha fissato alcuni paletti: la questione è anche morale.
Un anno esatto dall’inizio del Mondiale in Qatar e i conti non tornano. Non è solo questione di fuso orario e cambiamenti – si giocherà a Novembre, cornice inedita dal punto di vista stagionale – ma soprattutto di metamorfosi. Il Direttore Esecutivo della manifestazione ha recentemente precisato il codice di condotta da adottare nel Paese: in Qatar, infatti, sarà severamente vietato ai professionisti (e non solo) omosessuali scambiarsi effusioni e gesti d’affetto in pubblico.
L’invito è stato scandito più volte, da Nasser Al Khater, con la precisazione: “I gay sono benvenuti, chiediamo solo di rispettare alcuni principi della nostra cultura”. Appunto, la questione è in primis culturale. Perché Mondiale non vuol dire soltanto una palla che rotola sul rettangolo verde. Il calcio è anche veicolo di socialità e integrazione: la manifestazione, da sempre, rispecchia culture diverse e non un credo univoco.
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Qatar 2022, Nasser Al Khater avverte: “Gay benvenuti, ma…”
Infatti i Commissari Tecnici – dettaglio che spesso passa inosservato – sono anche ambasciatori delle varie Nazioni. Da qui l’esigenza di definirli C.T. anziché allenatori. Uomini e donne, perchè c’è anche il calcio femminile da tener presente, rappresentano il credo della propria compagine: tante filosofie di vita unite nel rispetto e nella concordia. Senza alcun tipo di preclusione.
Il Mondiale non è una vetrina turistica, almeno non soltanto. È innanzitutto specchio di una civiltà globale che cambia. L’accettazione della diversità di genere è alla base del cambiamento generazionale dei nostri tempi: motivo per cui non si tratta, e non può trattarsi, solamente dell’approccio verso il Qatar. Il Paese ospitante, in quel periodo, sarà lo specchio del mondo calcistico.
Un sistema che, almeno a livello sociale, non può e non dovrebbe avere ombre. Il rispetto delle differenze sociali e di genere passa, in primis, dalla libertà di poter agire nel pieno possesso delle azioni collettive: significa che, secondo criterio, deve essere possibile far tutto.
— Josh Cavallo (@JoshuaCavallo) October 27, 2021
Non è così attualmente, per questo c’è chi si spaventa: “Se dovessi andare in Qatar avrei paura”, ha detto a chiare lettere Josh Cavallo. Il primo calciatore omosessuale a fare outing a livello internazionale. In ambito mainstream. “Non mi sentirei tutelato”, ha detto. In Qatar l’omosessualità non è soltanto un tabù, ma anche un deterrente per la censura e la negazione di alcuni diritti. Oneri e onori che mancano anche nel racconto di una vicenda sportiva che deve ancora compiersi, perchè non sono solo gli omosessuali a dover temere, evidentemente.
Un Mondiale, mille tabù: anche la stampa nel mirino
Chiedere a Halvor Ekelan e Lokman Ghorbani, giornalisti della tv di Stato norvegese, che recentemente hanno svolto il proprio lavoro dalle parti di Doha. Un’inchiesta, a 365 giorni dal fischio d’inizio, che attesta – di fatto – le condizioni aberranti in cui gli operai e non solo sono costretti a lavorare per mettere in moto la macchina organizzativa.
L’impianto architettonico fatto in tempi record ha dei costi, soprattutto in termini di diritti umani. Basta farlo notare, come hanno fatto i due colleghi, per finire reclusi: 32 ore di carcere duro. “Ne discuteremo anche con la FIFA”, hanno garantito con ancora negli occhi immagini sopra il livello di guardia per crudezza e cinismo.
Troppi gli interrogativi a cui non è possibile rispondere esclusivamente con un comunicato stampa di poche parole. Nasser Al Khater parla di tradizione, ma la collettività pone l’accento su determinate abitudini di cui qualcuno dovrà rispondere. Prima che sia troppo tardi. Questa non è una partita da poter risolvere nei minuti di recupero, c’è ancora tempo – volendo – per dei cambi rilevanti che possono rimettere in sesto l’andamento del match. Altrimenti ci sarà sempre il timore dell’occasione sprecata e i rimorsi, nel calcio e nella vita, difficilmente pagano.