Beppe Bergomi a CalcioToday ricorda cosa volesse dire affrontare Diego Armando Maradona e quale traccia ha lasciato nei suoi avversari
Un anno fa moriva Diego Armando Maradona. Il mito del Pibe de Oro però non si è mai spento, perché la bellezza che ha diffuso nel mondo del calcio rimane nei ricordi, nelle foto, nelle emozioni regalate, nei racconti densi di dolce nostalgia di chi l’ha visto giocare.
I miti non muoiono, passano di bocca in bocca e di cuore in cuore. Il campione e l’uomo uniti come mai nel destino di Diego, insieme dio e bambino per il mondo del calcio. Quei due soprannomi, D10S e Pibe de Oro ne raccontano la magia, il modo di vivere trascendente eppure vicino, intriso di stupire come gli occhi del bambino che scopre il mondo.
mha coinvolto non solo i tifosi e i compagni di squadra. Non ne erano, e non sono ancora oggi, immuni nemmeno gli avversari. Lo dimostra il sentito ricordo di Beppe Bergomi, che abbiamo intervistato a Milano.
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“Quando mi chiedono il giocatore più forte che hai marcato rispondo sempre Van Basten. Diego però era sopra tutti” ha detto Bergomi.
Per chi doveva tentare di fermarlo, l’impresa era pressoché impossibile. “Se lo marcavo io mi portava a centrocampo, se lo marcava un centrrocampista lo portava a far la punta” spiega.
Era incontenibile, e allora per fermarlo si ricorreva anche a maniere più forti e interventi più rudi di quelli a cui siamo abituati oggi. “Una volta si ‘picchiava’ anche in modo diverso, si giocava più duro. Lui però non si lamentrava mai, si rialzava e continuaba a giocare. Era anche il sindacalista della squadra, mi dicevano, sempre a disposizione di tutti. Il numero 1″.
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