Felix Afena-Gyan, attaccante della Roma, sbaraglia la concorrenza con una doppietta che sa d’impresa. Il lieto fine, però, ha una macchia. I dettagli.
Una favola che inizia e finisce con una scarpetta già è celebre, ma stavolta non c’è di mezzo un ballo, bensì una partita di calcio: Felix trascina la Roma contro il Genoa, sua la doppietta a Marassi che culmina nell’abbraccio con Mourinho. Il ragazzo, classe 2003, aveva un patto con lo Special One: “Se segni – gli aveva detto il portoghese – ti compro le Balenciaga da 800 euro”. Detto, fatto.
Il giorno dopo a Trigoria aveva il regalo pronto per essere scartato, forse occorre premere stop partendo da qui. Non solo perchè è giusto fermare idealmente il tempo dopo giornate del genere, ma anche per soffermarsi su alcune sfumature che fanno la differenza quando si tratteggiano i contorni del lieto fine. La storia di Felix Afena Gyan ha veramente i tratti di una favola che non può essere bollata sotto l’etichetta della casualità: un ragazzo che vive lontano dalla famiglia, con la madre ancora in Ghana, che accarezza l’eternità grazie a una gioia figlia di sacrificio e speranza.
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Proprio per questo il video dello scarto delle scarpe assume un valore diverso: è il simbolo di un successo concreto ottenuto con il sudore e l’impegno, come dovrebbe essere sempre, per chiunque. A prescindere dalle origini o dai trascorsi di ciascuno. Proprio per questo, il commento al vetriolo – misto a ironia di bassa lega – da parte di alcuni presenti nel video che sottolineano, di sfuggita, sperando di non essere sentiti: “Ci stanno le banane dentro, Felix” stride con la bella piega che ha preso una pagina importante del nostro calcio. Una volta tanto i pregiudizi non l’avevano fatta franca, il vero dribbling era stato fatto agli stereotipi. Fino alla pubblicazione di questo video. Solo uno scherzo si dirà, ma citando un altro simbolo della romanità: “Quando se scherza, bisogna esse seri”.
Vale a dire che, talvolta, basta la sfumatura di una semplice ma pungente battuta a favorire veleni e luoghi comuni. Se abbiamo a cuore l’abbattimento delle differenze sociali e culturali, per favorire l’uguaglianza, è bene che certe esternazioni si tengano a freno. O perlomeno si chiarisca la buona fede – che sicuramente c’è – di determinate uscite. E poi si evitino, perchè come è discutibile che dei tifosi se la prendano con una hostess a bordo campo, venendo redarguiti nella maniera più perentoria possibile, quando in ballo c’è l’etica e la dignità di un lavoro, è giusto anche che le caratteristiche di ognuno non vengano prese come grimaldello per alimentare supposizioni sbagliate.
Questo ragazzo, Felix già dal nome, si appresta a diventare un’icona. E va trattato con rispetto anche quando il sorriso sulle labbra deve prevalere. È finita l’epoca dei commenti da bar: non è tutto permesso, almeno non dovrebbe dove regna il buon senso. Stavolta non c’era una folla inferocita che si accaniva contro un singolo, allora il peso della situazione cambia. Ma non dovrebbe, perchè anche quando non c’è uno stadio di mezzo, ma impera la consuetudine, dovrebbe restare come unico criterio la sensibilità nel ponderare certe affermazioni.
L’umorismo, laddove c’è, prevede una forma elevata di pensiero e articolazione. Non sempre è possibile rintracciarla, ma non per questo vuol dire che dobbiamo – come civiltà prima ed esseri umani poi – farcelo andare bene comunque. Il diritto alla burla e allo sberleffo è sacrosanto, così come quello di dissentire quando si è superato un limite che dovrebbe già essere evidente.
Al netto di tutto Felix Afena-Gyan prova a chiudere la questione con un chiarimento generale in cui ribadisce che l’uscita in questione “non era razzismo, ma solo uno scherzo”. A Roma si sente a casa, l’ha detto nuovamente. “Mangio tante banane, allora ci scherziamo sopra”. Sembra tutto molto telefonato, per restare in tema di messaggi, ma il buon senso del ragazzo non cancella la necessità di ponderare le parole.
Soprattutto quando c’è di mezzo una rappresentanza: rifugiarsi dietro l’esasperazione del politically correct, come ha fatto più di qualcuno, non sempre giustifica uno scivolone. Specialmente in un ambito complesso come quello calcistico, dove il razzismo – purtroppo – ancora impera. Su questo, davvero, non c’è nulla da ridere.
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