Michael Owen racconta la sua storia, c’è stato un momento in cui il giocatore si è sentito veramente finito e non lo nasconde.
Pallone d’oro a soli 21 anni, velocità da centometrista e tantissimi gol nelle gambe, 40 in poco più ottanta partite solo con la Nazionale. Michael Owen è stato uno degli attaccanti inglesi più forte della sua epoca, ma non tutto è andato secondo i piani.
Dopo l’esplosione, giovanissimo al Mondiale in Francia nel 1998, è stato il trascinatore del Liverpool. Sotto la Kop segnava gol a grappoli, più di 100 in totale. Le sue prestazioni non passano inosservate e così nel 2004 passa al Real Madrid, doveva essere un songo invece è l’inzio della fine.
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Il bomber inglese infatti inizia a combattere con gli infortuni: “Quando mi sono fatto male per la prima volta gli adduttori, sono finito. Davvero. Ho cambiato il mio modo di giocare, non ero più quello che segnava gol come quello all’Argentina. Saltavo gli avversari, scattavo negli spazi, crossavo. Quello ero io”. Quel Michael Owen non si è più rivisto sui campi da calcio.
Colpa del fisico e anche della mente: “Ero terrorizzato dalla possibilità di scattare quando avevo spazio. Sapevo che mi sarei strappato l’adduttore”. Il problema all’adduttore non è stato mai risolto tanto che l’ex attaccante rivela ancora a Bt Sport: “Sono nato per essere un calciatore. E invece mi ricordo che quando McManaman prendeva il pallone e poteva lanciarmi in profondità pensavo ‘no, non puoi farlo, ti prego, passala corta’. Devo ammettere che durante gli ultimi anni ho odiato il calcio”.
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