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Calcio

Chi era davvero Gerd Muller, l’attaccante letale, sgraziato e goloso

É scomparso oggi a 75 anni Gerd Muller, leggendario attaccante del Bayern Monaco e della nazionale tedesca, un giocatore poco conosciuto dalle nuove generazioni

Gerd Muller, quindici anni da record nel Bayern

Uno dei più grandi attaccanti di tutti i tempi, alcuni sostengono il più grande in assoluto anche se un termine di paragone è sempre impossibile considerando tempi, modi di allenamento e stile di gioco che cambia e si evolve.

Gerd Muller, detto Torpedo

Ma Gerd Müller, più di qualsiasi altro giocatore al mondo, aveva qualcosa di assolutamente speciale. Una precisione micidiale nella conclusione, una elevazione impressionante, un senso del tempo e dell’anticipo naturale: e un controllo di palla a seguire delizioso. Di lui aveva parlato Vujadin Boskov, indimenticabile allenatore della Sampdoria dello scudetto definendolo il più grande di sempre: “Un calabrone, non dovrebbe volare, non ha il fisico e la dinamica per volare. Ma vola. E se ti punge può anche ammazzarti”.

Lo hanno soprannominato Kaiser (ma a lui, che aveva simpatie di sinistra non piaceva), Killer: il nickname che gli piaceva di più era quello che gli avevano attribuito gli spagnoli, Torpedo. Il siluro.

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Le caratteristiche tecniche di Muller

Basso, tracagnotto, con le gambe arcuatissime come quelle di un cowboy che sembrava appena sceso dal cavallo, Müller era quel che si dice un giocatore non molto elegante. Molto meno tecnico apparentemente di altri giocatori della sua epoca ma capace di crescere, evolversi e di rendere inarrivabile il talento che madre natura gli aveva donato.

Il tempo di reazione di un velocista, la capacità assolutamente naturale di accelerazione palla al piede lo rendevano imprevedibile e spesso imprendibile. E poi, da qualsiasi posizione, tirava. E lo specchio della porta lo trovava sempre. Tra i suoi gol più belli alcune gemme di testa, frutto di una elevazione impressionante e di una tecnica di sospensione che Müller sosteneva di avere rubato a un amico che giocava a basket. Coordinatissimo.

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A sinistra accanto a Breitner, Gerd Muller primo cannoniere di tutit i tempi in Bundesliga  (Getty Images)

Numeri da fuoriclasse

Il Bayern Monaco e la nazionale tedesca devono moltissimo a Müller, uno che nel calcio di oggi si divertirebbe. La marcatura a uomo non gli piaceva. Spesso veniva massacrato da interventi pesantissimi che lui, semplicemente, eludeva anticipando il difensore: “Sembra che abbia gli occhi dietro la schiena” disse Boskov.

Durante 15 anni al Bayern, Müller ha segnato un record di 365 gol in 427 partite di Bundesliga e 66 gol in 74 partite europee. Suo il gol della vittoria della Germania Ovest contro l’Olanda nel Mondiale del ’74.

Tre vittorie consecutive in Coppa dei Campioni, dal 1974 al 1976, cui Müller ha contribuito con 18 gol di cui tre in due finali. Sette volte capocannoniere della Bundesliga, Pallone d’Oro nel 1970 prima di trasferirsi negli Stati Uniti. In Bundesliga nessuno ha superato i suoi numeri.

In Nazionale solo Miroslav Klose ha segnato di più: giocando più del doppio delle partite di Müller. Che si allenava tanto perché, come disse una volta, “adoro mangiare e una birra non me la nego mai”.

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La seconda vita, la fine più triste

L’addio al calcio per Müller era stato un contraccolpo tremendo. Aveva conosciuto la depressione e si era isolato. Beveva moltissimo. Furono gli ex compagni di squadra, molti dei quali erano dirigenti del suo Bayern, a dargli una mano. La leggenda racconta che Franz Beckenbauer in persona sia andato a casa sua prendendolo per il collo… “Ora esci di qui e vieni ad allenarti”. Dopo sei mesi Gerd era dimagrito di dieci chili, in tuta ad allenare i ragazzini.

Il campo di allenamento di Säbener Strasse era diventato la sua seconda casa: non amava andare in televisione. Nel 2013 un malore, un banale giramento di testa. Poi cefalee sempre più violente. L’anno dopo non fu più in grado di tornare in campo con i suoi ragazzi e si è ritirato a casa, con la moglie Uschi che ha fermamente respinto qualsiasi richiesta di interviste, foto, notizie. Si è spento gradualmente ucciso dall’Alzheimer. Da oltre due anni non era più cosciente. Le ultime visite, a casa, quelle dei compagni di sempre, e i dirigenti del Bayern. Fuori da casa un mazzo di fiori bianchi e rossi, con un nastrino bianco e azzurro, i colori del Bayern e della Baviera. Con una sola parola scritta con un grande pennarello nero. “Danke”.

Stefano Benzi

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