I migliori anni all’Inter di Jurgen Klinsmann, rimasto legatissimo ai nerazzurri come dimostra un simpatico siparietto con Marotta
All’Inter, i tifosi lo ricordano con affetto evidentemente ricambiato. Jurgen Klinsmann, caschetto biondo e tiro potente, è rimasto imprigionato nel personaggio della “Pantegana”, soprannome tipicamente sarcastico della Gialappa’s Band.
Ma Kataklinsmann, altro soprannome del centravanti tedesco, ha risolto più problemi per l’attacco dell’Inter di quanti si potesse pensare fermandosi all’etichetta.
E’ arrivato per sostituire Ramon Diaz dopo lo scudetto dei record, nell’estate del 1989. Segna subito un gran gol in Coppa Italia allo Spezia, va a segno in campionato contro Juve, Roma e Napoli. Chiude la prima stagione con 13 gol all’attivo e la Supercoppa in bacheca.
I nerazzurri chiudono il campionato al terzo posto. Klinsmann elogia Giovanni Trapattoni. “Era un maestro della tattica, ti correva dietro per tutto l’allenamento. Noi tedeschi non eravamo abituati a un approccio simile” ha detto.
Sono gli anni del confronto milanese tra i tedeschi dell’Inter (Klinsmann, Lothar Matthaeus e Andreas Brehme) e i tre olandesi del Milan (Ruud Gullit, Marco Van Basten e Frank Rijkaard). Si troveranno di fronte anche in un tesissimo Germania Ovest-Olanda ai Mondiali di Italia ’90.
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Klinsmann torna in nerazzurro da campione del mondo, e riparte dove aveva lasciato. Firma una tripletta al Cagliari per inaugurare il campionato e non si fermerà più. In Coppa UEFA, realizza il gol del 3-1 al Rapid Vienna, il primo dei tre centri che valgono la rimonta all’Aston Villa e la rete allo Sporting che proietta l’Inter alla finale vinta contro la Roma.
Oltre alla prima Coppa UEFA nella storia dell’Inter, Klinsmann puntella la stagione con 14 reti, di destro e di sinistro, di tecnica e di forza. Il presidente Ernesto Pellegrini, che a Klinsmann ha lasciato un grande esempio di rapporto con i calciatori, vorrebbe inaugurare una nuova era nel segno della zona e del calcio moderno.
Dopo l’addio di Trapattoni, sceglie come allenatore Corrado Orrico, che dura solo fino alla conclusione del girone d’andata, ma fa in tempo a conversare a lungo con il tedesco sulla storia dei Medici e l’arte di Caravaggio. Klinsmann è uno dei pochi a trovarsi bene con i suoi metodi di allenamento. Compresa la “gabbia” che avrebbe riproposto da allenatore della nazionale USA per allenare la tecnica nello stretto e la velocità di pensiero.
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Nei suoi anni in nerazzurro, aveva una curiosità. Voleva sapere perché Astutillo Malgioglio, il vice di Zenga, scappasse sempre dopo l’allenamento sul suo Maggiolino. Andò così a vedere la palestra che il portiere gestiva per la rieducazione motoria di bambini cerebrolesi. E firmò un assegno da 70 milioni di lire per sostenerla.
Da allenatore non ha avuto grandi successi, anche se si può considerare uno dei primi tecnici ad aver fatto un ricorso massiccio ai dati e al mental coaching. Ha aperto gli orizzonti, attraverso incontri e chiacchierate con figure di riferimento dei grandi sport americani come Phil Jackson che ha allenato i Chicago Bulls di Michael Jordan e i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant.
E’ rimasto comunque legatissimo all’Inter. Lo dimostra anche la telefonata a Marotta nel corso dell’evento organizzato dal Foglio Sportivo in cui ha ufficiosamente promesso il nome del nuovo allenatore dell’Inter.
I tifosi hanno capito che si trattava di Simone Inzaghi. Chissà se Klinsmann stava solo chiamando un amico, come ha detto Marotta scherzando in diretta, oppure se si trattava di un’auto-candidatura per il posto lasciato libero da Conte.
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