Tarcisio Burgnich, la “Roccia” nerazzurra con un volto degno di Hollywood

É scomparso a 82 anni Tarcisio Burgnich, difensore storico dell’Inter di Helenio Herrera ma anche della nazionale azzurra, un vero e proprio simbolo del calcio degli anni ’60-’70

Burgnich

Lo avevano soprannominato “Roccia”, perché contro qualsiasi avversario in qualsiasi condizioni climatica lui era lì, inamovibile, insormontabile a fare il suo lavoro e a dominare la scena della difesa.

Tarcisio Burgnich, la Roccia

Un soprannome che sopravvisse alla sua carriera agonistica, e oggi, anche a lui: Tarcisio Burgnich è scomparso a 82 anni. Alcuni giorni fa aveva subito un lieve malore ed era stato ricoverato, le sue condizioni sono peggiorate improvvisamente.

Un difensore duro, solido, di straordinaria qualità sulla marcatura a uomo. Burgnich, con quel cognome così particolare era friulano di Ruda, e nacque calcisticamente nell’Udinese.  Tutti lo conoscono soprattutto per la sua lunga militanza nell’Inter, quando arrivò alla corte di Helenio  Herrera. In realtà in precedenza gioco prima alla Juve, un campionato non facile con poche presenze da titolare. Poi a Palermo, dove disputò una stagione straordinaria. Herrera lo volle definendolo un trattore, un ‘caterpillar’, perché Brugnich, originariamente, giocava soprattutto sulla fascia, da terzino sinistro. Il tecnico cambiò le sue caratteristiche impostandolo soprattutto in marcatura.

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Mexico ’70 e Pelé

Con l’Inter vince tutto: quattro scudetti, due coppe dei campioni, altrettante coppe intercontinentali entrando a far parte della Nazionale. Un punto di forza. Il suo soprannome, era ‘Roccia’. Uno dei primi giornalisti che scrisse di lui in toni più narrativo e meno agonistici fu il grande Gianni Brera che lo definì una via di mezzo tra un gladiatore, un maratoneta u un attore hollywoodiano. Perché uno dei punti di forza di Burgnich era il suo volto, che lo rendeva molto simile ai cattivi del grande schermo, come Ernest Borgnine al quale assomigliava vagamente.

In nazionale ebbe la grande soddisfazione di poter giocare con la squadra alla leggendaria finale di Messico ’70, quella che perse in finale contro il Brasile di Pelé 4-1. Fu lui a firmare il gol del provvisorio pareggio sul 2-2.

A Burgnich, ovviamente, toccò il compito di marcare proprio lui, Pelé:  che per una volta scalfì la Roccia anticipandolo e segnando un gol stratosferico, con una elevazione siderale. Famosa una delle poche dichiarazioni del dopo partita, Brugnich era sempre uno che parlava poco… “preparandomi alla partita mi continuavo a ripetere c he anche lui era di carne ossa, proprio come me. Evidentemente mi sbagliavo”.

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Roccia, perché si usa anche oggi

Esponente di un calcio unico nel suo genere, fatto di sacrifici dove un qualsiasi infortunio che oggi sarebbe leggero ti stroncava la carriera, giocò a livello altissimo per molti anni alzando lo standard di qualsiasi difensore diventando un punto di riferimento punto per iniziare poi una lunga carriera di allenatore. Quasi vent’anni, senza tuttavia arrivare mai al grande successo. Il calcio aveva bisogno di grandi personaggi, gli affabulatori, intrattenitori da microfono e televisione.

Lui, uomo semplice, diretto e di poche parole non lo era. Eppure, quando era ospite dei salotti televisivi, magari per una chiacchierata amicale, offriva aneddoti straordinari e riflessioni sempre azzeccate. Ma fuori dalla telecamera, se la luce rossa si accendeva lui, torna dalle suo ruolo di ‘roccia’, poche parole e malvolentieri, quasi con il fastidio di essere al centro dell’attenzione

Oggi il suo soprannome, roccia, continua a riecheggiare sui campi dei professionisti e dei dilettanti. Ed è uno splendido omaggio, non solo a lui, ma a chi come Tarcisio Burgnich ha saputo interpretare il calcio con dedizione, passione e una straordinaria lealtà, fatta di sacrificio e credibilità…

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