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Manchester City, tre titoli in quattro anni: a volte i soldi fanno la felicità

Si potrebbe discutere di come il Manchester City nel corso degli anni ha speso più del dovuto facendosi beffe del fair play finanziario anche dopo essere stato sanzionato. Ma è un dato di fatto che i Citizen hanno capito come spendere i loro soldi

I tifosi del Manchester City festeggiano fuori dall’Etihad Stadium (Getty Images)

Il Manchester City ieri ha concretizzato un titolo di Premier League ormai dato per scontato. La sconfitta in casa contro il Chelsea è diventata ininfluente grazie al tonfo casalingo dei cugini dello United che perdendo in casa dal Leicester hanno spalancato la porta al trionfo in modo forse imprevisto.

Manchester City dominante

Per il Manchester City è il settimo titolo assoluto, il terzo in quattro anni, il quinto in nove. Per Guardiola è l’ottavo trofeo in cinque anni. Quindici giorni fa ha alzato la Carabao Cup e tra un paio di settimane avrà la grande occasione di conquistare la Champions League. Il tutto dopo un avvio di stagione disastroso: a ottobre i corvi che annunciavano la fine di Guardiola e del suo modo di concepire il calcio sostenevano che il Manchester City era l’ennesima meteora dopata da troppi soldi, acquisti eccessivi e poche idee.

Oggi il carro dei vincitori è talmente affollato che si stenta a capire chi guida. La famiglia Mansour ha preso un City sull’orlo del baratro finanziario e in un limbo vissuto all’ombra dello United e di Sir Alex Ferguson nel 2008. Oggi, che Ferguson è in pensione e che i Glaziers, proprietari dello United, sono più odiati persino del City, Mansour è il sultano: e Guardiola è sempre più il suo profeta.

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Paradossi del City

Una squadra che vince senza un attaccante da venti gol. Ma mandando in gol praticamente chiunque. Una squadra che balbetta per un paio di mesi. Ma che da dicembre non sbaglia più niente esprimendo un gioco non sempre piacevolissimo: ma imprevedibile, ricco di sfumature e di variazioni sempre più frequenti. Un calcio vincente in un modello dominante: quello inglese: con due finaliste di Champions League e una di Europa League. Ma senza allenatori inglesi.

Mansour, dopo avere speso un sacco di soldi, ha cominciato a capire dove e come investire. E ora il City può andare a insidiare le due più grandi squadre inglesi degli ultimi cinquant’anni: il Liverpool che tra 1976 e 1990 ha vinto dieci titoli e quattro Coppe dei Campioni e lo United di Ferguson, 13 titoli nazionali e due Coppe dei Campioni tra il 1993 e il 2013.

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Pep Guardiola, otto trofei con il Manchester City (Getty Images)

La squadra vincente

Una squadra apparentemente normale: senza Messi, Ronaldo o Mbappé: che pure si potrebbe permettere. Ma con un portiere stratosferico come Ederson (18 partite senza gol), un difensore inaffondabile come Virgil van Dijk, l’acquisto più importante, e una serie di turnanti straordinari: Ruben Dias, John Stones, Aymeric Laporte e un Foden che in un ambiente del genere non poteva non esplodere. Una squadra nella quale un centrocampista come Ilkay Gundogan segna dodici gol come un ottimo cannoniere. E nella quale il falso nueve va a rotazione come sulla ruota del lotto: Guardiola ne ha schierati ben sei De Bruyne, Bernardo Silva, Sterling, Mahrez e Foden oltre a Fernandinho. Che di mestiere nasceva play basso.

Una squadra che non ha più bisogno di Aguero e che giocando quasi senza attaccanti di ruolo ha vinto 27 partite su 28 da dicembre ad aprile. Con tanti saluti ai gufi autunnali.

Stefano Benzi

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Stefano Benzi

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