Dieci domande sulla Superlega. I grandi club sono ormai in contrapposizione con la UEFA. L’Equipe ha parlato di guerra dei ricchi. Cosa c’è in ballo: le ragioni, i rischi e i possibili benefici
I grandi club hanno agitato lo spettro della Superlega almeno dagli anni Novanta. Mai come stavolta, però, la prospettiva appare concreta. Il calcio si sta spaccando, per questione di soldi, consenso e potere.
Perché il sistema attuale non funziona, danneggiato anche dal fair play finanziario che ha permesso di rimettere a posto i conti a livello complessivo, ma ha anche reso più forti e durature le rendite di posizione dei club più ricchi, diventati anche i più forti, togliendo così interesse.
Ma a cosa puntano le società che hanno fondato la Superlega? Perché Bayern Monaco e PSG non ci stanno: Quali saranno gli scenari? Proviamo a capirne di più con le dieci domande sulla Superlega europea.
1-Perché le grandi società vogliono rompere con la UEFA?
I top club del calcio europeo condividono un approccio liberista alle vicende dello sport. Lo stesso con cui hanno spinto la UEFA ad abbandonare il modello della Coppa dei Campioni per la Champions League.
Lo stesso con cui le società inglesi di prima divisione nel 1992 si sono staccate dalla Football League e hanno creato la Premier League. Vogliono ottenere più risorse e avere più voce in capitolo nella determinazione delle modalità di spartizione dei proventi.
Il principio che seguono è semplice: sono loro lo spettacolo, i responsabili della creazione del valore dell’evento. L’accordo di cui si parla con JP Morgan può evidentemente compensare i mancati introiti da premi UEFA legati alla partecipazione alla Champions League.
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2-Perché si arriva adesso alla rottura?
Perché ai club in testa alla Deloitte Football Money League non basta più il potere di essere invitati alle feste, ovvero alla Champions League per cui hanno ottenuto più partecipanti e più posti garantiti.
Perché nel 2018-19, scrive The Athletic, il totale degli spettatori negli stadi per le partite di Champions League si è quasi dimezzato rispetto alla media dei due trienni precedenti, passando da 2 a 1,3 miliardi di spettatori. Inoltre, rispetto alla stagione precedente, il pubblico televisivo della Champions è calato del 35%. Poi ci si è messa la pandemia.
Nell’ultimo bilancio, tutte le società al momento aderenti hanno registrato una riduzione dei ricavi rispetto al precedente esercizio che va dal 6% (Real Madrid) al 25% (Inter), come rivela Il Sole 24 Ore. Nemmeno l’atteso annuncio della nuova “Super Champions” a 36 squadre, senza più i gironi di primo turno ma con un unico campionato con sole dieci partite per squadra, ha fermato i progetti di secessione.
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3-Chi guida il progetto della Superlega?
Florentino Perez, presidente del Real Madrid, proponeva la creazione di una Superlega europea già nel 2009. Sarà il presidente della società che gestirà la competizione, almeno secondo quanto risulta dalle comunicazioni dei club coinvolti, con due vicepresidenti, ovvero Andrea Agnelli della Juventus e Joel Glazer del Manchester United. Tutti convinti che le squadre di livello comparabile dovrebbero sfidarsi più volte.
Il tema è l’equilibrio competitivo della Champions League, che si può raggiungere almeno in due modi. Da un lato attraverso una redistribuzione più equa delle risorse, dall’altro ristrutturando la lega per far sì che il con un peso economico e sportivo comparabile si incontrino tra loro più spesso.
Il primo si è rivelato politicamente difficile da raggiungere, anche perché per essere davvero efficace la redistribuzione andrebbe ridefinita anche nei singoli campionati nazionali.
Il secondo, che riguarda la qualità delle partite, è un tema ricorrente nello sport. Affascinante nel breve periodo, rischia però di andare incontro agli effetti negativi della legge dell’utilità marginale: il decimo Real Madrid-Manchester United, il dodicesimo Juventus-Bayern Monaco non sarà vissuto con lo stesso appeal, con la stessa attesa del primo.
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4-Perché Bayern Monaco e Paris Saint-Germain hanno detto no?
Bayern Monaco e PSG, in teoria, avrebbero solo da guadagnare in termini economici da una partecipazione alla Superlega.
Dominano da tempo, infatti, i rispettivi campionati nazionali che in termini di diritti televisivi hanno conosciuto una contrazione del valore.
L’ultima asta per la Bundesliga ha raccolto il 5% in meno della precedente, mentre in Francia il buco lasciato da Mediapro ha causato perdite per decine di milioni.
Eppure, hanno detto no come il Borussia Dortmund e buona parte delle squadre tedesche come Calciotoday sta documentando qui, anche perché in Germania il 50%+1 delle quote dei club (con alcune eccezioni come l’Hoffenheim, il Wolfsburg e di fatto il Lipsia) sono in mano ai tifosi.
Per quanto riguarda il PSG, vanno considerati due aspetti. Il presidente Al-Khelaifi ha un ottimo rapporto con Ceferin. Inoltre attraverso l’ECA è nel board della UEFA. In più, è a capo del beIN Media Group, ovvero il colosso televisivo qatariota che detiene i diritti di trasmissione della Champions League. Una competizione destinata a essere svalutata dalla compresenza con la Superlega, come è successo all’omonima competizione di basket da quando è nata l’Eurolega.
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5 – I club fondatori della Superlega vogliono davvero cancellare la solidarietà?
Uno dei temi su cui si può determinare il futuro dell’iniziativa riguarda i fondi cosiddetti di solidarietà, che servono a finanziare la base della piramide del calcio. Una lega separata dalla UEFA teoricamente non avrebbe obblighi di questo tipo.
Ma è evidente, anche di fronte alla dura reazione della UEFA che ha minacciato l’esclusione delle squadre dai campionati e dei giocatori dalle nazionali per chi partecipa alla Superlega, che la promessa di fondi alle serie minori e alle nazioni più deboli può diventare uno strumento di creazione di consenso.
Secondo le indiscrezioni pubblicate in queste ore, l’accordo di massima che al momento è solo di principio, dovrebbe prevedere dieci miliardi di euro destinati ai pagamenti di solidarietà in 23 anni.
Il tema della solidarietà era già al centro delle rivendicazioni del G14, assemblea dei club più titolati in Coppa dei Campioni poi estesa a 18 società senza cambiare nome che ha sostenuto dagli anni Novanta le ragioni della Superlega prima di sciogliersi al momento della fondazione dell’ECA.
Nel 2005 l’allora direttore generale Thomas Kurth si esprimeva così in un’intervista al ricercatore universitario Matthew Holt per il suo report UEFA, Governance, and the Control of Club Competition in European Football:
“Non abbiamo niente contro la solidarietà. Nel calcio, solidarietà significa condividere con altri, e bisognerebbe che le parti si accordino sullo scopo e i meccanismi. Oggi, una parte considerevole dei profitti generati dalle squadre di club viene utilizzato per scopi di solidarietà, e i meriti di questi scopi vanno solo alla UEFA. Dicono che sono generati dalla Champions League, ma dimenticano che il merito di quei profitti è dei club che la rendono la competizione a squadre più spettacolare del mondo“.
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6 – Come è cambiato il rapporto fra i club più ricchi e la UEFA?
Nel calcio, la ricerca di un diverso punto di equilibrio tra il peso dei club e il potere regolamentare della UEFA ha accompagnato l’integrazione politica europea. Come documento nel libro “Unfair Play” (Bradipo Libri, 2020, pubblicato in versione ebook), le società più ricche sono diventate i nodi più influenti nella rete del calcio. In questi casi, ipotizzava il sociologo Manuel Castells, questi nodi in una rete possono anche arrivare a mettere in discussione la legittimità del potere centrale.
7-Perché la UEFA è contraria alla Superlega?
Lo status è quello di “associazione di federazioni basata sulla democrazia rappresentativa”. Sono le federazioni nazionali i primi referenti. Questo crea una differenza di prospettiva quasi impossibile da eliminare. Perché i grandi club hanno obiettivi di breve periodo e principi di carattere manageriale.
Lo scopo principale è ottenere una fetta più grande della torta nella spartizione delle risorse che derivano dalla partecipazione alle competizioni internazionali. Inoltre, l’atto fondativo della Superlega appare la conferma di un altro principio liberista, ovvero l’idea un controllo più stretto sulla governance porti al massimo guadagno.
La UEFA, al contrario, deve avere una visione olistica perché rappresenta tutti. E allo stesso tempo, perché ciascuna associazione calcistica nazionale dispone di un voto al congresso: una nazione, un voto. E le nazioni “piccole” sono in numero maggiore.
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8-Una competizione chiusa aiuta la creazione del valore?
In ogni evento sportivo, anche la cornice rende possibile la creazione del valore. L’hanno dovuto ammettere anche gli storici team britannici di Formula 1 che all’inizio degli anni Ottanta minacciavano di creare un campionato separato.
Nel tennis, prima del 1968, esistevano tornei a inviti ed esibizioni fra professionisti, molto ben retribuite, mentre i dilettanti disputavano Wimbledon, il Roland Garros o la Coppa Davis per poco più di un rimborso spese. Il peso dei primi, però, è quasi irrilevante nella storia del gioco.
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9-La proposta della Superlega è l’inizio della “guerra dei ricchi”?
L’espressione “guerra dei ricchi” compare come titolo di prima pagina del quotidiano francese L’Equipe del 19 aprile, giorno successivo al comunicato che annuncia l’accordo sulla creazione della Superlega.
Economisti e studiosi come Szymanski e Kuypers (2000), McArdle (2000), King (2003) ritenevano già una ventina di anni fa l’avvento della Superlega inevitabile.
Il passo compiuto in questi giorni è destinato a segnare una frattura profonda che mette in discussione la storia del calcio europeo, come ha detto Sir Alex Ferguson.
Il passo rappresenta infatti una sconfessione del cosiddetto modello sportivo europeo, basato su promozioni e retrocessioni, e un avvicinamento a un modello di tipo americano basato sulle leghe chiuse.
I club più ricchi hanno deciso di sfidare apertamente la UEFA in nome del liberismo e della massimizzazione dei profitti individuali. Ma dovranno raggiungere un punto di accordo. E sarà tanto più importante se davvero i partecipanti saranno esclusi dai campionati.
In una competizione prevalentemente o totalmente chiusa, l’interesse per la competizione è influenzato solo dalla possibilità delle squadre di vincere il campionato. Dunque, per aumentare l’appeal e l’interesse sono necessari due fattori: alta qualità complessiva ed elevato tasso di livello di equilibrio competitivo.
Non è escluso, dunque, che le società fondatrici della Superlega si ritrovino a definire formule come il tetto salariale per mantenere intensa la competizione. Ma anche la Superlega potrebbe incontrare le sue distorsioni all’interno.
In un sistema chiuso, infatti, la lega ottiene i ricavi complessivi più alti quando le società che hanno sede nelle città più grandi, più ricche e con una tifoseria più calda vincono più spesso.
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10-Cosa rischiano i club? Qual è il piano della UEFA e della FIFA?
I club rischiano di essere esclusi dai campionati nazionali e cause per danni per decine di miliardi di euro. I 12 club aderenti alla Superlega hanno già pronta una risposta legale, secondo Le Parisien.
Senza considerare le possibili cause da parte delle emittenti tv che hanno acquisito i diritti per i campionati nazionali e per le competizioni UEFA, il cui valore è destinato a scendere in caso di esclusione dei top club.
La FIFA ha espresso la sua “disapprovazione” per una “lega separatista europea chiusa”. Parole comunque più morbide rispetto alla posizione dello scorso gennaio quando si cominciava a parlare della Superlega.
Il presidente Infantino, infatti, va avanti con il suo programma finalizzato alla creazione di un’omologa Superlega in Africa per 20-24 squadre con l’obiettivo di aumentare il livello del calcio nel continente. E contemporaneamente porta avanti la sua idea di un allargamento del Mondiale del club.