Il terremoto rappresentato dalla creazione della Superlega si traduce in un business immenso per pochi club in un consorzio del tutto simile al modello americano della NBA
Un giro d’affari immenso, che una volta a regime garantirà introiti non inferiori ai 10 miliardi all’anno: il business plan del nuovo campionato europeo dei top club di fatto è già pronto e apre a conseguenze drammatiche sia sul piano istituzionale che pratico.
La reazione della base calcistica questa mattina è stata controversa. Da una parte la borsa, e dunque non solo i grandi investitori ma anche i piccoli azionisti, hanno premiato tutte le squadre quotate coinvolte in Superlega da un considerevole rialzo. I titoli della Juventus oggi sfioravano i 0.90€ con un rialzo quasi del 15%. Ma molti tifosi non l’hanno presa altrettanto bene: ci sono state proteste a Liverpool e a Londra dove i tifosi più caldi hanno esposto striscioni di dissenso fuori da Fenway Park ed Emirates Stadium.
Ma quello che la Superlega garantirà ai pochi club iscritti al consorzio è una vagonata di soldi. L’operazione evidentemente era consolidata da tempo: non è che un colosso come JP Morgan decida di finanziare un progetto del genere in poche ore sull’onda delle notizie via web.
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Le squadre fondatrici riceveranno fin da subito un ‘entry-cash’ da 350 milioni di euro. Un tesoretto con il quale prepararsi all’evento. Il business plan prevede introiti non inferiori agli 8 miliardi di euro fin dalla prima edizione. Le società non guadagneranno nulla direttamente, a parte forse gli incassi dello stadio e del merchandising diretto. Tutto finirà nelle casse del consorzio e verrà redistribuito.
I gestori della Superlega progettano di vendere non solo diritti televisivi, il business principale ma anche prodotti di grande distribuzione: videogames, pubblicazioni editoriali, oggettistica, abbigliamento monetizzando tutto. Interviste, presenze televisivi, canali di distribuzione social.
I premi saranno a vincere: una fee per tutte le squadre che partecipano e soldi per ogni singola partita vinta e per ogni fase conquistata fino all’assegnazione del trofeo che indicativamente dovrebbe valere ogni anno non meno di mezzo miliardo di euro.
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Un format del tutto identico a quello dei grandi consorzi americani, come l’NBA. Il format è già stato definito: due gironi da dieci squadre. La fase finale è allo studio: o una Final Six in una città neutrale disposta a pagare a peso d’oro l’ospitalità del torneo finale, o eliminatorie dirette dai quarti di finale in più: una ipotesi è quella di trasformare la fase finale in una sorta di play off dove si giocheranno sfide al meglio delle due vittorie su tre o delle tre vittorie su cinque, come accade da tempo nel basket o nel volley.
Questa la proposta che probabilmente diventerà realtà: accesso ai quarti delle prime tre di ogni girone con quarte e quinte impegnate in un play off diretto incrociato. In tutto si parla di circa 35 partite all’anno. Troppe per pensare che un calendario del genere si incastri con le competizioni nazionali ed europee.
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