Emiliano Mondonico in una delle sue ultime immagini ufficiali in panchina, a Novara (Getty Images)
Pensando all’Atalanta di oggi, che gioca in Champions League, incassa milioni di euro e se la gioca alla pari con le grandi d’Europa, non si può non pensare a chi contribuì a crearla, come Emiliano Mondonico
C’è chi sostiene che l’Atalanta di Antonio Percassi, quella del nuovo stadio, della Champions League e che fa paura alle grandi d’Europa sia nata non con Gasperini ma molto tempo fa. É un club che appoggia le sue radici su lavoro e concretezza, su scout, osservatori e settore giovanile. E dunque su basi che furono poste prima di Percassi da Bortolotti e Ruggieri. E molto prima di Gasperini da tecnici come Nedo Sonetti (quattro stagioni alla Dea), Giovanni Vavassori, (tanti anni prima al settore giovanile e poi in prima squadra) ed Emiliano Mondonico.
Gente concreta, pragmatica, capace di litigare con chiunque senza guardare in faccia nessuno perché estremamente sicura del fatto suo e della qualità delle proprie idee. Emiliano Mondonico, scomparso il 29 marzo di tre anni dopo un lunghissimo ed estenuante testa a testa con il cancro, l’Atalanta l’aveva forgiata a sua immagine e somiglianza. Solida, spavalda, quasi sfrontata. Probabilmente persino a Gasperini, juventino quando Mondonico si professava cuore Toro, quella squadra sarebbe piaciuta.
All’epoca Mondonico portava un paio di vezzosi baffetti e il pizzo e lo avevano ribattezzato d’Artagnan. Ma lui, uomo di cultura e di grande curiosità, sosteneva di essere più simile a Portos, il più guascone e spaccone dei tre moschettieri.
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Mondonico vestì la maglia della Dea per una sola stagione, 1971-72, diventando tecnico in due diversi stint, tre anni dal 1987 al 1990 e poi di nuovo dal 1994 al 1998. Arrivò alla semifinale della Coppa Italia contro i fortissimi fiamminghi del Malines (Mechelen) conquistando prima la promozione in Serie A e poi l’accesso – per due volte – alla vecchia Coppa Uefa passando dalla porta principale. Era un’Atalanta più ruspante e forse meno organizzata di quella di oggi ma sempre improntata a una grande qualità e a una estrema onestà intellettuale: “Faccio quello che posso nel modo migliore che so” era solito dire Mondonico quando qualcuno gli faceva un complimento.
Allergico alla politica e alla strategia dei salotti del calcio detestava l’idea di mettersi in ghingheri anche quando non gli mancava nulla per essere elegante e seduttivo. Una gran testa, tanti pensieri in libertà che guardavano sempre a equilibrio e cultura del lavoro.
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Una carriera da allenatore con tredici incarichi diversi e in dieci diversi club. Allenò due volte Atalanta, Torino e Albinoleffe conquistando cinque diverse promozioni con Cremonese, Atalanta, (due volte), Torino e Fiorentina: 912 partite in panchina.
Famose anche le sue liti. Epocale una sua discussione in tv con Maurizio Mosca che degenerò in una vera e propria furibonda litigata che ebbe anche strascichi legali. Ma i tifosi lo ricordano soprattutto per il mondo in cui se ne andò sbattendo la porta dalla Fiorentina, dopo avere riportato la squadra in Serie A perché non sopportava l’idea che un presidente, per quanto ricco, mettesse bocca nella gestione tecnica del club.
Oggi avrebbe un sacco da litigare con tantissima gente: ma sempre con quel sorriso un po’ sardonico di chi la sa più lunga, e non sente il desiderio di fartelo nemmeno pesare.
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