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Fuorigioco

Un anno senza Kobe Bryant: palestre e strade nel nome del Mamba

Era il 26 gennaio e in una serata piovosa e di nebbia un elicottero precipita cancellando dal campo lo showstopper, Kobe Bryant

Una tenera immagine di Kobe Bryant e della figlia Gianna(Getty Images)

Sarà che certi personaggi sono destinati a essere immaginati immortali. Non si riesce a fare l’abitudine a una morte come quella di Kobe Bryant. Ed eravamo già nel 2020, un anno talmente orrendo che sembra uno scherzo considerando tutte le grandi persone che ci ha tolto.

Kobe Bryant, morte assurda

Una serata orrenda: in televisione si cominciava a parlare della pandemia ma la cosa non veniva presa molto sul serio. Poi, all’improvviso, una notizia talmente clamorosa da sembrare falsa. Non è una fake news. É  drammaticamente vera. Kobe Bryant è precipitato con il suo elicottero  mentre stava accompagnando sua figlia Gianna Maria alla partita della sua squadra, la Mamba Academy. Un team che Kobe patrocinava. Gianna, proprio come il padre, era una fuoriclasse.

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L’incidente

L’elicottero viaggia verso Orange County, dove Bryant vive. Il programma è quello di atterrare nella pista privata di Kobe e poi andare al match con la macchina. A bordo con Kobe e Gianna, 13 anni – per tutti GiGi – ci sono Ara Zobayan, un pilota esperto e preparato,  John Altobelli, ex giocatore baseball con la moglie Keri e la figlia Alyssa, anche lei membro della Mamba Academy. E poi Christina, un’allenatrice dell’accademia e due vicini di casa di Kobe che gli chiedono uno strappo.

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Kobe e Gianna Maria a una partita dei Lakers (Getty Images )

Lo schianto

C’è molta nebbia: l’elicottero vola come da programma a velocità di crociera: 185 km/h. All’improvviso perde quota, precipita e si schianta. L’elicottero cade a quasi 300 km/h senza controllo, oltre 300 metri di caduta senza controllo.

Nessun sopravvissuto. Tutti morti sul colpo. Una tragedia apparentemente inspiegabile. Dalla fucina delle fake news qualcuno ipotizza che alla guida del mezzo ci fosse Kobe. Falso.

Altri ipotizzano che il pilota sia bevuto o drogato. Falso. Gli esami tossicologici, dopo cinque mesi, chiariranno che in corpo non aveva nemmeno un’aspirina. É  stata una tragedia. Di quelle che non si spiegano e che lasciano un vuoto terribile. Nessun guasto, il Sykorski S-76 funzionava perfettamente. Una fatalità. Dettata dal maltempo.

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Sono centinaia i murales dedicati a Kobe e Gianna: questo è a Los Angeles, a due passi dallo Staples Center (Getty Images)

Kobe e GiGi Bryant

Le foto di Kobe e GiGi riempiono il web. Kobe stava investendo in una società di produzione televisiva, una delle sue grandi passioni. L’uomo che non sapeva perdere aveva già vinto l’Oscar per il miglior cortometraggio per il documentario ‘Dear Basketball’ , la sua lettera d’addio allo sport. Non pensava di diventare allenatore, non gli interessavano le offerte per fare il commentatore. Voleva godersi la famiglia, le partite di GiGi e sognava un film sul basket che non avesse lui come idea centrale.

Stava leggendo alcune sceneggiature: una di queste raccontava di una ragazzina di 12 anni di un quartiere povero che si prepara per un camp e un provino. Forse avrebbe chiesto a GiGi di recitare: la ragazzina gli avrebbe risposto che lei voleva solo giocare a basket.

La somiglianza tra i due era impressionante: vedere le smorfie di GiGi in palleggio o al tiro sembrava di vedere una versione adolescente di Kobe.

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Il ricordo

L’unico modo per ricordare le persone che ci hanno lasciato con il loro bagaglio di ricordi e di emozioni è quello di allargare la loro impronta. Fare in modo che quel nome resti per sempre. Appiccicato alle nostre strade, alle nostre scuole. Per questo è splendido che ovunque stiano nascendo palestre e scuole con il nome di Kobe e GiGi. A Reggio Emilia è stata creata la prima in assoluto. A mezzogiorno, a un anno esatto dalla tragedia di Calabasas, verrà inaugurata Piazza Kobe e Gianna Bryant, a due passi dal palasport dove il padre di Kobe, Joe, aveva giocato per diversi anni e dove lui era cresciuto.

Poco lontano, un campetto in cemento con i canestri senza retine. Fa un freddo bestia ma ci sono quattro ragazzini che giocano un due contro due. Uno dei quattro chiede palla, facendo la telecronaca della sua azione: “Eccolo è Kobe, palla in mano, è il Mamba. Punta l’uomo, chiede il pick and roll. Ma è una finta, si isola: un secondo al termine… Tira… É  dentro!”

L’uomo che non sapeva perdere continua a vincere con il suo esempio nelle palestre e nelle scuole di tutto il mondo.

Un tatuaggio dedicato a Kobe e alla figlia (Getty Images)
Stefano Benzi

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Stefano Benzi

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