Massimiliano Allegri è ancora senza panchina dopo l’addio della Juventus. Perché il tecnico italiano più vincente degli ultimi anni è disoccupato
Dal 2014 al 2019, Massimiliano Allegri ha vinto undici trofei con la Juve. Ha conquistato due finali di Champions League, più di quante ne abbia raggiunte nello stesso periodo Pep Guardiola.
Eppure, nonostante un palmares così, Allegri non ha ancora una trovato una squadra. Tutti lo vogliono, nessuno lo prende. L’hanno accostato, in Italia, al Napoli, all’Inter per il dopo Conte, alla Roma se dovesse saltare Fonseca. In Europa, all’Arsenal, al PSG, più volte al Barcellona, al Real Madrid, nelle ultime settimane al Chelsea.
Ma sistematicamente qualcuno con un palmares più sottile del suo gli è stato preferito. Vale per il PSG che ha scelto Mauricio Pochettino, tornato dopo essere stato capitano del club: trofei vinti in carriera zero, anche se la finale di Champions con il Tottenham è un’impresa destinata a restare nella storia del club e non solo.
Vale il Barcellona, che dopo Unay Emery ha scelto prima il fallimentare Quique Setien, che nella storia è entrato per il 2-8 subito dal Bayern Monaco acceleratore della crisi con Messi, poi Ronald Koeman. L’Arsenal per ora mantiene Arteta, che al momento di esordire poteva al massimo vantare un’esperienza da vice di Guardiola. Il Chelsea ha scelto Tuchel dopo l’esonero di Lampard.
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Paradosso Allegri, saltato anche il Chelsea
Si può comprendere il caso del Barcellona, per la peculiare visione che al calcio si assegna in blaugrana, come indicatore della superiorità di un modello filosofico e per certi versi morale. Setien rappresentava quel modello più di Emery, agli occhi dei tifosi. Poi, come spesso è capitato nella storia del Barcellona, di fronte alle crisi si ritorna agli eredi della scuola di Cruijff.
Se si può anche considerare la scelta di Pochettino al PSG come una volontà di rinforzare un’identità, di rendere più evidente la “pariginità” di un club simbolo di globalizzazione, la designazione di Tuchel al Chelsea lascia degli interrogativi sul presente e sul futuro di Allegri.
Fuori dall’Italia, la percezione di Allegri sembra stia iniziando a diventare un ostacolo. E’ difficile valutare quanto le sue dichiarazioni sull’importanza relativa delle analisi teoriche e dei numeri nella lettura delle partite, che tanto hanno fatto discutere in Italia, abbiano fatto breccia all’estero.
Probabilmente, più di questo apparente anti-modernismo, nel calcio dei match-analyst, rischia di pesare l’ultima campagna in Champions League con la Juventus, finita con la sconfitta contro l’Ajax. Non aver trovato la chiave per imporre un salto di qualità prestazionale e di risultati alla Juve con Cristiano Ronaldo potrebbe essere la vera ragione del limbo.
Oggi Allegri dà l’impressione di essere un allenatore dal nome, dal blasone, dall’ingaggio troppo importanti e pesanti per squadre non di primissima fascia. Ma per quelle di primissima fascia, almeno in Europa, non così appetibile. Un limbo da cui non è facile uscire, senza rimettersi in gioco.