Superlega, la FIFA e le confederazioni continentali si oppongono al progetto voluto dai grandi club, come dimostra l’incontro tra Agnelli e Perez. A cosa punta la Juve, e le ragioni del no
L’incontro fra i presidente di Juventus e Real Madrid ha rilanciato il progetto della cosiddetta “SuperLega”, una competizione prevalentemente chiusa con le big d’Europa. Il progetto è il sogno delle più ricche società dalla fine degli anni Novanta. E’ il Godot del calcio europeo, tante volte ostentata come minaccia per ottenere in Europa più soldi in Champions League o una quantità maggiore di posti garantiti alle squadre di maggiore prestigio. La dinamica è nota, come prevedibile l’opposizione delle organizzazioni sovra-nazionali come la UEFA o la FIFA che si è opposta al rinnovato progetto con un comunicato sintetico e duro. Una nota firmata da tutti i presidenti delle associazioni calcistiche nei vari continenti riunite nella FIFA.
Possiamo analizzare tra i club e le organizzazioni attraverso il caso europeo. I top club sanno che senza le loro superstar in campo, anche una competizione di prestigio come la Champions League avrebbe meno sponsor e raccoglierebbe decisamente meno dalle televisioni. Quindi, vorrebbero avere più controllo su come i proventi dei diritti tv vengono distribuiti fra le squadre. Il nodo politico è il controllo, il bilanciamento del potere. La UEFA ha fatto concessioni sempre più ampie, ad esempio ammettendo nel board due membri dell’ECA, l’organizzazione dei club europei compreso il presidente Andrea Agnelli. Il potere contrattuale dei giocatori nelle squadre dopo la sentenza Bosman, e delle società verso le organizzazioni che governano lo sport è evidente.
SuperLega, perché la Juve e i top club la chiedono
Questo aspetto di politica sportiva, questo slittamento verso le società nel bilanciamento dei poteri, è emerso con forza in un’altra vicenda recente che ha segnato il calcio europeo: ovvero la richiesta di esclusione dalle coppe europee del Manchester City per violazioni alle norme del fair play finanziario, poi cancellata dal TAS di Losanna. Il Manchester City, come il PSG che era stato precedentemente multato, ha alle spalle un fondo controllato dal governo di uno Stato, e il livello della contrapposizione con un’organizzazione internazionale ma soltanto sportiva si muove su differenti livelli.
Su un aspetto, però, la UEFA e le società erano e restano d’accordo, l’importanza dell’equilibrio competitivo della Champions League. Ma, come analizzato nell’ebook “Unfair play” di recente pubblicazione per Bradipo Libri di cui sono autore, l’obiettivo di migliorare l’incertezza della competizione si può raggiungere almeno in due modi. Da un lato attraverso una redistribuzione più equa delle risorse, dall’altro ristrutturando la lega. Obiettivo che si può raggiungere e facendo in modo che le squadre con un peso economico e sportivo comparabile si incontrino tra loro più spesso.
E’ questo che cercano la Juve, il Real Madrid, il Manchester United o il Barcellona. Se ci scontriamo più spesso fra di noi, questo il ragionamento che era alla base anche dell’omologo progetto del G14 (assemblea dei grandi club antesignano dell’ECA), la competizione sarà incerta e potremo tutti guadagnare di più. L’obiettivo è una competizione con pochi outsider, e a qualcuno torneranno in mente le dichiarazioni di Agnelli sulla presenza dell’Atalanta in Champions League.
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Perché la UEFA e la FIFA si oppongono
Le confederazioni che governano il calcio non possono essere d’accordo con il progetto. L’UEFA non potrebbe mai avallare la SuperLega, né come competizione separata né come trofeo sotto la propria egida.
Non può farlo per le questioni di principio delineate nella nota della FIFA. “I principi universali del merito sportivo, della solidarietà, della promozione e retrocessione, della sussidiarietà sono le fondamenta della piramide del calcio” si legge. Una competizione come la SuperLega, trionfo del capitalismo calcistico, ne calpesterebbe diversi.
La UEFA, di fronte alla minaccia della scissione, ha aumentato il numero di squadre presenti in Champions, ha protetto i grandi campionati con più posti fissi e quote più alte del market pool, una porzione consistente del montepremi distribuito alle squadre in relazione al valore del mercato televisivo nazionale.
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UEFA, FIFA e creazione del consenso
Ma la UEFA, come ogni confederazione del calcio mondiale, è un’associazione di associazioni nazionali. I membri della UEFA non sono le società, ma le federazioni nazionali. E la creazione di consenso, perché alla fine di questo si tratta, ha alla base quel meccanismo aritmetico che Joseph Blatter conosceva benissimo e che Michel Platini ha trasmesso nella sua gestione della UEFA: una nazione, un voto. Dato che le nazioni “piccole” sono in numero maggiore, una competizione separata con i top club metterebbe a rischio “la piramide del calcio” europeo. Per due ordini di motivi.
A livello continentale, le competizioni UEFA avrebbero meno appeal e raccoglierebbero meno soldi. E dunque, la confederazione europea distribuirebbe una quota molto inferiore di fondi alle federazioni più deboli. Oggi, invece, la quota del montepremi della Champions League rappresenta più del 50% dei ricavi dei club di nazioni come Andorra, Armenia, Gibilterra, Lituania o Moldova.
Infine, la competizione chiusa in tutto o in parte svaluta i campionati nazionali. Ed è impossibile che una federazione possa accettare una conseguenza di questo tipo per favorire gli introiti delle società più ricche della nazione. E sono sempre le federazioni che votano all’interno della confederazione della FIFA.