L’incredibile epopea di Goran Pandev, un giocatore che a 37 anni ha disegnato la pagina più straordinaria della sua carriera: e nessuno vuole che sia l’ultima
Partiamo dalla fine, da quello che Pandev racconta pensando al presente e non all’Europeo che verrà: “Non ho tempo di festeggiare anche se il momento è meraviglioso. Torno subito a Genova e sabato sarò subito a disposizione del club perché il campionato è troppo importante. E perché un’altra bella stagione di Serie A mi preparerà al meglio per il primo Europeo del mio paese”.
Pandev, eroe non mascherato
Goran Pandev è così, un eroe di altri tempi, uno di quei giocatori che sembra essere incapace di non dedicare tutto se stesso alla causa. I tifosi del Genoa hanno festeggiato l’accesso della Macedonia del Nord un po’ come se fosse stata una vittoria del Grifone: non è facile entrare nel cuore della Nord che ha una memoria infallibile e non dimentica sgarri e tradimenti. Ma riconosce un uomo vero quando se ne trova davanti uno.
Pandev oggi rappresenta il seguito ideale di quello che è stato Marco Rossi, un giocatore straordinario, un uomo incredibile, capace di restare al Genoa in Serie C dopo la famosa vicenda della valigetta e la retrocessione d’ufficio rifiutando la Juventus. Dieci anni filati di Genoa: dalla Serie C all’Europa, uno di quegli psicodrammi che solo chi tifa Genoa è in grado di poter raccontare.
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Eredità pesante
Pandev, arrivò in rossoblu dal Galatasaray in lista gratuita ormai cinque anni fa: un passaggio silenzioso di fronte a una tifoseria che non sembrava avere particolare simpatia per un giocatore sicuramente forte e di talento. Anche perché ricordava altre operazioni non completamente riuscite: Gilardino, Toni…
Aveva 19 anni Pandev quando esordì in nazionale. Da allora, dalla maglia del Belasica, otto divise, frequenti ritorni all’Inter dove resta negli annali grazie al Triplete conquistato con Mourinho. Una carriera da maratoneta: 589 partite ufficiali, 132 gol, 79 assist quasi 35mila minuti da titolare. Cui vanno aggiunti 114 presenze in nazionale maggiore (36 gol) e altre 12 con quella giovanile (5). Giocando attaccante, mezza punta, esterno destro, esterno sinistro, play e pure terzino. Perché Pandev è Pandev.
Quando a un genoano viene chiesto che lavoro fa, e magari vuol far capire di essere uno pronto a tutto e a qualsiasi sacrificio, alla voce professione scriverà… Pandev.
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Una voce critica in un paese giovane
Un protagonista suo malgrado, lontano dai social, dalla logica del tatuaggio e della tartaruga scolpita: uno che parla poco e di solito dice cose intelligenti. Uno che ha la pretesa di farsi capire. Cosa non da poco di questi giorni.
Umile, versatile, un simbolo. Al punto da investire parecchi soldi in un club che porta il suo nome, l’Akademija Pandev – che da due anni gioca in prima divisione e che l’anno scorso ha alzato il suo primo trofeo con la Coppa nazionale.
Nel 2011 aveva lasciato la nazionale. Tornò chiamato a gran voce l’anno dopo. Nel 2014 quando la federazione fece viaggiare la squadra con mezzi di fortuna (pare che lui stesso abbia dovuto anticipare di tasca propria alcune spese) Pandev disse di essere stanco di questo calcio e di questi dirigenti. IL CT Igor Angelovski, in carica dal 2015, sette anni più di lui, gli chiese di dare una possibilità a lui, come tecnico, e alla squadra.
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Un sogno Europeo
Due anni fa voleva ritirarsi: ha rimandato perché il suo paese gli chiedeva una mano per inseguire un sogno impossibile, l’Europeo. Cinque anni fa la Macedonia, nel frattempo diventata del Nord, era al 116esimo posto nel ranking UEFA. Oggi è nella geografia del calcio europeo.
Pandev, che ai soprannomi dei soliti telecronisti (Pandemonio, Kungu Fu Pandev, Goran il Barbaro) preferisce il nomignolo che si porta fin da quando era ragazzino – Goghi – se oggi ci fossero le elezioni nel suo paese sarebbe proclamato re. Il suo gol contro la Georgia è lo spartiacque definitivo di un paese giovane, ancora alla ricerca di sé e di una propria identità e che attraverso il calcio potrà marcare un passo ulteriore verso quella consapevolezza che la politica non garantisce e che lo sport, molto spesso regala.
E visto che abbiamo iniziato dalla fine, chiudiamo con quella che era la prima domanda… Goran, ora sono certo che capisci il senso di tutto quello che hai fatto: “Ora tutto ha un senso, ora so che tutto quello che ho fatto in questi anni ha un peso. Ora i ragazzi del mio paese hanno una prospettiva in più, una bandiera di cui essere orgogliosi, e i nostri cittadini che vivono in giro per l’Europa possono dire che la Macedonia del Nord non è la provincia di nessuno, ma un piccolo grande paese”.
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