Bobby Charlton sta male: molto male. La leggenda del calcio inglese, colonna vertebrale della squadra che vinse l’unico mondiale del suo paese nel 1966 ha 83 anni ed è malato da tempo ma le sue condizioni sono molto peggiorate.
Ormai Charlton, bandiera dei Three Lions e del Manchester United, ha perso consapevolezza del tempo e di chi gli sta vicino. Deve essere costantemente assistito, non è più autonomo. Raramente ha momenti di lucidità nei quali riconosce chi gli sta vicino.
É sbagliato pensare che queste cose facciano più male quando colpiscono persone famose: sono gli stessi problemi che migliaia di noi devono affrontare con genitori o nonni. Ed è inaccettabile che una vita, la vita di chiunque, si concluda in modo così triste e poco dignitoso. Se la cosa riguarda un atleta o un attore la questione diventa semplicemente più coinvolgenti: perché tutti noi siamo portati a pensare che gli atleti siano eroi, inattaccabili, incapaci di ammalarsi o di morire.
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Chi scrive ha perso negli ultimi anni molte persone care, alcune delle quali giovanissime: in modo inaccettabile. Le malattie non fanno sconti a nessuno. Bobby Charlton ha avuto una vita di prim’ordine: è un baronetto del Regno Unito, una stella indiscutibile. Nessuno in Inghilterra, nemmeno gli acerrimi rivali che odiavano i Reds, si sognerebbe mai di contestarne la memoria.
È un dato di fatto che molti atleti di quella generazione si stanno spegnendo nella stessa identica maniera: un altro protagonista del Mondiale del 1966, Nobby Stiles, è scomparso il 30 ottobre dopo una lancinante malattia regressiva. Qualcosa di intollerabile per chi lo ricordava come “The Destroyer” recentemente scomparso, ha combattuto contro la malattia. Anche il fratello maggiore di Bobby, Jackie, è morto nel luglio scorso dopo una lunga battaglia contro l’Alzheimer e da tempo soffiriva di demenza.
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La malattia di questi eroi può solo amplificare la necessità di trovare una cura per l’Alzheimer o per il Parkinson. Ma le statistiche ci dicono che i calciatori in attività tra il 1950 e il 1970 hanno tre volte e mezzo più probabilità di chiunque altro di morire per una malattia neurodegenerativa.
Di Bobby Charlton ha parlato recentemente Chris Sutton, leggenda del Celtic e apprezzato opinionista sportivo che ieri si è messo a piangere di fronte alle telecamere quando gli hanno chiesto un parere sulla vicenda del ‘capitano dimenticato’. Sutton sta seguendo il padre, anche lui malato di Alzheimer: “É inaccettabile che un eroe del nostro paese venga dimenticato in questa maniera. Non esiste solo il COVID ma anche la vita e la morte di tante persone malate che hanno continuano ad avere bisogno di cura e di assistenza. Chiedo a FIFA, Football Association, Premier League e associazione inglese calciatori alcuni provvedimenti urgenti: la sostituzione immediata in caso di un incidente di gioco che possa provocare una commozione cerebrale. Non sono ammessi ritardi. E poi finanziamenti costanti e continui per la ricerca finalizzata alla salute comune”.
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