Compie 80 anni la leggenda del calcio, Edson Arantes do Nascimento, per tutti Pelé. Lo raccontiamo e lo ricordiamo attraverso dieci foto, dieci scatti inusuali, e le sue parole
Quattro lettere, il senso del calcio in bianco e nero. La fascinazione di un nome che evoca foto sgranate, voci alla radio, racconti che attraversano le generazioni. Meno visto e più immaginato di Diego Maradona, Pelé ha cambiato il calcio. Per i suoi ottant’anni, abbiamo scelto dieci immagini, ognuna offre un punto di osservazione, il presupposto per una storia. Il resto lo fanno i suoi stessi ricordi, attraverso la stampa dell’epoca e i suoi libri autobiografici.
C’era la radio accesa anche nella casa di Bauru dove è cresciuto, in un pomeriggio del 1958, che gli avrebbe cambiato la vita. L’annunciatore elenca i convocati della nazionale per la Coppa del Mondo. Quando Pelé sente il suo nome, non capisce più nulla. “Giocherò in nazionale ai Mondiali!” grida saltando di gioia per tutta la casa. Sua madre, racconta nel libro “My life and the beautiful game”, gli mette una mano sulla fronte. “Misurati la febbre, che secondo me non stai bene” gli dice.
1 – L’esordio di Pelé al Mondiale
Pelé ha sentito bene, ai Mondiali ci va davvero. Il tecnico Vicente Feola gli offre una grande chance nei quarti contro il Galles, che oppone una difesa strenua. Il nostro viaggio comincia proprio da quella partita.
Si gioca a Goteborg, e già compaiono i cartelloni pubblicitari della Coca Cola. Il trattamento che i difensori gallesi gli riservano è duro. Lo 0-0 non si sblocca fino al 66′. Pelé racconta vividamente quel che succede in “My life and the beautiful game”. “Didi aveva la palla. Me la passa sulla corsa con quella sua incredibile accuratezza quando mi trovavo a poca distanza dalla porta”. Evita il tackle di un avversario e calcia; il pallone, deviato da un altro difensore, diventa imprendibile per Kelsey, il portiere gallese.
“Ho iniziato a saltare, a correre, a gridare Goooal non so quante volte. E’ stato il gol più indimenticabile della mia vita”. Di gol ne ha segnati, secondo la leggenda, 1281. La FIFA ne accredita 757. Segnerà tre gol in semifinale alla Francia. Segnerà nella finale di quel Mondiale contro la Svezia. Di lui Ferenc Puskas avrebbe detto: “Non lo considero un calciatore, è qualcosa di più”.
2 – Il Santos
Il giovane Pelé aveva paura del buio. Gli era rimasta attaccata dopo aver visto un compagno di giochi morto dentro uno dei suoi nascondigli sotterranei preferiti: un forte temporale aveva fatto collassare terra e asfalto all’interno, soffocandolo. Al Santos, illumina di immenso.
“Al Santos ho sperimentato la felicità come calciatore” ha scritto nella sua autobiografia. “Il nostro era un tempo puro, innocente” commenta. Lo chiamavano all’inizio Gasolina, un’idea di Zito che ha vinto due Mondiali e scoperto Neymar. Non c’entra la benzina, pensava a una cantante brasiliana che si chiamava così.
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3 – Il soprannome Pelé
Poi diventerà Pelé. L’origine del soprannome non è chiara nemmeno a lui. Secondo la versione più accreditata, anche nei suoi libri, è una versione distorta di Bilé, portiere compagno di squadra del padre che da bambino non parlava. Per questo lo portarono da un gruppo di benzedeiras, delle guaritrici che secondo i racconti tramandati hanno portato avanti un complesso rituale per settimane.
Scandivano come un mantra “bili-bilu-teteia”, una sorta di formula magica. E alla fine José Lino, questo il suo nome, avrebbe pronunciato la sua prima parola: Bilé. Una ventina d’anni dopo, il padre accompagnava il figlio che sarebbe diventato il re del calcio ai suoi allenamenti al Vasco de Gama. A Pelé piaceva mettersi in porta, come in questa rara foto del 1963. E i tifosi ad ogni parata del bambino lo applaudivano: “Ben fatto, Bilé”. Bilé diventò Pelé e aggiunse uno zero al numero 1 sulla maglia.
4 – E Burgnich disse: “Non è fatto di carne e ossa”
Pelé ha segnato 77 gol in nazionale, quasi uno a partita. L’ultimo in un Mondiale ha aperto la finale del 1970, la prima trasmessa in diversi Paesi a colori. Sotto la luce senza perdono di Città del Messico, il verdeoro diventa la combinazione cromatica della bellezza del calcio. Pelé porta il Brasile in vantaggio saltando su Burgnich e galleggiando nell’aria sfidando la fisica. “Prima della partita mi sono detto: ‘È fatto di carne e ossa come tutti gli altri’. Mi sbagliavo” ha ammesso Burgnich.
Dopo la finale, un Pelé commosso abbraccia Gerson, che ha segnato il gol del 2-1 dopo il pareggio di Boninsegna. Negli spogliatoi, racconta Pelé, si intrufola un giornalista che l’aveva accusato di avere problemi di vista. Si inginocchia e fradicio gli chiede perdono. “Solo Dio perdona, e io non sono Dio” gli risponde Pelé.
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5 – Pelé ambasciatore, la diplomazia del calcio
Nel 1971, accolto come un leader mondiale, Pelé atterra in Francia. Lo accompagna Jacques Baumel, il baffuto segretario di stato del primo ministro Jacques Chaban-Delmas che gli è accanto. E’ la vigilia di un’amichevole allo stadio di Colombes fra il Santos e una selezione mista di calciatori dell’Olympique Marsiglia e del Saint-Etienne. Pelé porta il calcio nel mondo. Ha accreditato, ma resta più di qualche dubbio, la tesi per cui avrebbe fermato la guerra in Nigeria, una sorta di tregua olimpica ma per il Santos.
Ha scatenato in Martinica una protesta, sempre nel 1971, perché gli abitanti non vogliono pagare i 100 franchi, prezzo esorbitante fissato per i biglietti. Sui muri compaiono ovunque scritte “Vedremo Pelé senza pagare”.
La Federcalcio ha optato per la diretta televisiva della partita, la prima nella storia dell’isola. Nel 1977 i Cosmos diventano la prima squadra occidentale a visitare la Cina dopo la morte di Mao. Il 27 settembre 1977, le Nazioni Unite riconoscono Pelé “cittadino del mondo”.
6 – 1974, l’ultimo match con il Santos
Il 2 ottobre 1974, Pelé disputa la sua ultima partita con il Santos, contro il Ponte Preta. “Dopo venti minuti contro il Ponte Pr, mi lanciano il pallone” scrive in My life and the beautiful game. “Io sento che è il momento. Lo prendo con le mani, l’ultimo gesto che un tifoso vorrebbe vedere, lo porto a centro campo, mi inginocchio e allargo le braccia. Mi giro, da un lato e dall’altro, in modo che tutti possano vedermi”.
In spogliatoio confessa di aver pianto. Al Santos ha giocato 19 anni. Ha vinto 10 titoli paulisti, 5 coppe nazionali consecutive, allora l’unico torneo a carattere nazionale, due Coppe Libertadores, due Coppe Intercontinentali. Ma quel giorno, ha scritto, “non ero più Pelé. Ero tornato di nuovo solo Edson Arantes do Nascimento”.
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7 – L’avventura in America
Ma non durerà per molto. Torna Pelé nel 1975, quando accetta l’offerta dei Cosmos di New York, la squadra delle stelle nella North American Soccer League. In America, allora, i grandi campioni andavano per accettare l’ultimo contratto ricchissimo della carriera. Nei Cosmos, Pelé avrà come compagni di squadra Giorgio Chinaglia, e non andranno molto d’accordo, Franz Beckenbauer, Carlos Alberto il terzino che segnò l’ultimo gol della finale mondiale del 1970, uno dei più belli di sempre in Coppa del Mondo.
Ha vinto il campionato nel 1977, il suo ultimo anno di carriera. Ha affrontato un decadente George Best, che qui lo premia con una targa come miglior giocatore del mondo il 9 aprile 1978 al Rose Bowl di Pasadena. Sedici anni dopo, in questo stesso stadio, il Brasile festeggerà il titolo mondiale mentre Roberto Baggio si arrende al destino e a quel calcio di rigore volato sopra la traversa. Senza il triennio di Pelé nella squadra specchio del suo tempo come nessun’altra, il soccer non sarebbe mai diventato così popolare negli USA. E oggi con ogni probabilità la Major League Soccer non esisterebbe.
8 – Il genio del calcio
Pelé rappresenta il calcio. E i grandi gli chiedono di esserci al momento del saluto. Partecipa alla partita di addio di Lev Jascin nel 1971 e a due anni dopo a quella del belga Van Himst insieme a Johan Cruijff.
Sono associati, O’Rey e Crujff, il “Pelé bianco”. Il brasiliano, però, non condivide quell’appellativo. “Non ho mai pensato a lui in quei termini, è un genio nel gioco del calcio di suo” scrive in My life and the beautiful game.
Nel 1977, quando Pelé lascia il calcio, anche l’olandese pensa di fare lo stesso. Poi come Pelé andrà negli USA. Intanto in Argentina si sta lanciando il Pibe de Oro, Diego Maradona. L’intreccio delle tre storie è raccontato in un libro, “1977. L’anno dei tre campioni” (Ultra Sport) a cui ho contribuito insieme a Jvan Sica e Francesco Gallo.
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9 – Le tre mogli di O’Rey
Pelé si è sposato tre volte. Il 21 febbraio 1966 con Rosemeri dos Reis Cholbi, il 30 aprile 1994 con Assíria Lemos Seixas, psicologa e cantante gospel (nella foto) e nel 2016 con Marcia Aoki, che ha 32 anni meno di lui. Il giorno dopo il matrimonio con Assiria, Ayrton Senna muore a Imola. I due idoli sportivi del Brasile sono collegati anche per un altro motivo, e il motivo si chiama Xuxa.
E’ una giovane presentatrice per la tv, con cui Pelé ha avuto una lunga relazione all’inizio degli anni Ottanta. Dopo la storia con Pelé, Xuxa si sarebbe fidanzata con Senna. “In tanti hanno detto che per questo io e Senna abbiamo avuto screzi” ha scritto O’Rey nell’autobiografia, “ma è semplicemente ridicolo”.
10 – Pelé oggi
Negli ultimi anni, Pelè ha affrontato diversi problemi di salute. Come ha raccontato suo figlio qualche tempo fa, non si è mai completamente ripreso da una delle operazioni all’anca. “So che non sta tanto bene” ha detto José Altafini a Leo Turrini per il QN (gruppo Giorno-Nazione-Resto del Carlino), “spero riesca a battere le malattie con uno dei suoi magici dribbling”.
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