Arsene Wenger nel calcio moderno rappresenta un esempio più unico che raro. Un personaggio coerente, molto sicuro delle sue idee e delle sue scelte.
Meno vincente rispetto a tutto quello che avrebbe potuto vincere.
Arsene Wenger e il suo metodo
Chi conosce bene Arsene Wenger e il suo lavoro sa che nella metodologia del tecnico il club e la squadra venivano prima di qualsiasi altra cosa. Anche dei trofei. Se la società gli chiedeva di risparmiare lui puntava sui giovani e riduceva il budget del mercato; se la proprietà era nelle condizioni di investire lui puntava ragionevolmente su giocatori particolari, di qualità ma atipici dicendo… “ne trarrò il massimo”.
Fu così per Bergkamp che all’Arsenal nessuno voleva dopo il fallimento all’Inter anche per via della sua idiosincrasia per voli e aerei. Ma anche per Henry. Quando Wenger lo acquistò a Londra dissero… “lo fa per amicizia con il giocatore”.
Bergkamp e Henry, come Overmars, Anelka, Flamini, Juan, Van Persie, Gallas, Hanu, Mertesacker, Fabregas. L’Arsenal ha fatto una fortuna con le plusvalenze (all’epoca ancora non si chiamavano così) che Wenger valorizzava. Al punto che quando il club abbandono il vecchio Highbury, trasformato in un condominio residenziale di lusso dove Wenger vive abitualmente a Londra, il direttore generale del club disse… “a Wenger dobbiamo almeno un terzo del budget del nuovo Emirates Stadium”. Anche se la crisi economica che travolse il club subito dopo costrinse il tecnico a rimettere mano a risparmi e ragazzini.
LEGGI ANCHE > Nagorno-Karbakh, calciatori al fronte: Bryan e i giocatori soldato
Il calcio che spreca
Oggi Wenger è un analista attento e misurato delle vicende del calcio. Collabora con diverse televisioni, fa il commentatore e non c’è niente che gli dia fastidio quanto lo spreco del calcio moderno.
“Oggi il calcio spreca e brucia troppo in fretta – dice l’ex allenatore dell’Arsenal, 70 anni, mai più in panchina dopo il suo addio al club due anni fa – lo sport ha la tendenza a dimenticare tutto molto velocemente, ma qui si sta esagerando. Sulla corsa ai risultati si dimentica che abbiamo a che fare con professionisti che un tecnico deve anche saper tutelare e valorizzare”.
Ma la cosa è faticosa: e gli allenatori molto spesso preferiscono svendere le scelte di altri… è il caso di Mezut Ozil, 31 anni, ancora all’Arsenal, non una partita ufficiale da giugno. E Wenger non se lo spiega: “É solo uno dei tanti casi forse il più clamoroso. Non esiste che il calcio ti butti fuori così, nonostante le qualità. Ozil aveva il record assoluto di numero di assist in Premier League. Non mi spiego perché non giochi e perché nessun club lo abbia voluto”.
LEGGI ANCHE > Hector Bellerin, il calciatore ambientalista: un albero per ogni punto dell’Arsenal
Figli lontani, non dimenticati
Miguel Arteta, il tecnico dei Gunners, non lo convoca nemmeno. Wenger sostiene che questo atteggiamento sia difficile da accettare soprattutto in tempi duri come questi: “I tempi ci stanno insegnando che tutto va valorizzato e gestito nel modo migliore. Tutto può essere migliorato e diventare un valore aggiunto. Ma spesso questo richiede un lavoro troppo faticoso che il calcio non consente perché vuole risultati immediati, a qualsiasi costo. Il costo è qualcosa di commisurato al progetto e il valore, spesso, non è la vittoria fine a se stessa”.
Wenger ha appena ultimato un libro sui suoi 22 anni all’Arsenal, “My Life in Red and White”…: “É difficile per me vedere la squadra o tornare al campo di allenamento anche solo per una visita. Al club ho dedicato quasi tutta la mia vita di allenatore ed è qualcosa che non potrò mai dimenticare. La cosa migliore che ho fatto? Riorganizzare la sede degli allenamenti integrando tutte le squadre del settore giovanile. É stata la base su cui poi è nato il nuovo Emirates Stadium. Siamo stati la prima squadra a diventare un vero club moderno, con il proprio impianto e strutture organizzatissime”.
I calciatori restano la prima preoccupazione, anche se non ha più voluto allenare: “Ai miei calciatori ripenso spesso, con qualche difficoltà emotiva. Sono come un papà che si è separato dalla moglie: adora i suoi figli, ma vederli giocare gli provoca sempre un po’ di dolore. E quindi resta in disparte…”
LEGGI ANCHE > Paul Gascoigne, il mito di Gazza rivive con Jack Grealish