La guerra di cui nessuno parla è quella del Nagorno-Karabakh. Uno dei suoi testimoni è Bryan, terzino sinistro brasiliano di belle speranze, che ha una storia davvero molto strana.
Come tanti connazionali sbarca il lunario all’estero come calciatore professionista ma la situazione che sta affrontando è una delle peggiori mai viste.
Testimone di una guerra di cui non parla quasi nessuno, quella delNagorno-Karbakh . E dire che oggi la vita di Bryan poteva essere decisamente molto diversa. Se quel provino in Italia fosse andato meglio, se il suo agente quattro anni fa non avesse litigato con la società che doveva proporlo in Inghilterra. Bryan Silva Garcia è una delle tante promesse mancate del calcio. A 28 anni è quello che in Brasile definiscono trabalhador do futebol, un operaio del pallone. Da alcuni anni ormai i suoi ingaggi sono stagionali e servono a mantenere la famiglia, una moglie e due figli piccoli, che sono rimasti a Belo Horizonte.
Bryan, diversi titoli nazionali nella regione di Minas Gerais e una Copa do Brasil con il Cruzeiro tre anni fa, ha firmato lo scorso anno con l’Alashkert, una delle squadre più popolari dell’Armenia. Un ottimo stipendio in un paese nuovo, non facile.
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Poi è arrivata la pandemia, la sospensione del campionato e la necessità di non potersi più muovere. Aveva un paio di offerte importanti in Spagna e Portogallo, ma le ha dovute declinare. Adesso l’Armenia è devastata da una guerra di cui non parla nessuno e le cui vittime sono messe in minoranza dal COVID-19.
A Bryan non ne è andata dritta una: “Dovevo firmare con il Boavista ma il club è stato punito dalla FIFA per delle irregolarità ammnistrative e ci sono andato di mezzo io. Quando è arrivata la proposta di questa squadra armena non ci ho pensato due volte: erano tanti soldi. Il contratto mi permetteva di partire a giugno, ma il coronavirus ha cambiato tutti i miei piani. E sono bloccato qui. Bloccato dal COVID e dalla guerra”.
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Un missile azero caduto nei pressi di Martakert (Getty Images)
La guerra è quella del Nagorno Karbakh, 146mila abitanti che fanno da cuscinetto tra Armenia e Azerbaijan trecento chilometri a sudest di Yerevan. Il territorio è azero ma la popolazione è quasi completamente armena e vuole l’annessione al paese vicino o quanto meno l’indipendenza. Nel paese il terrorismo dei separatisti ha causato centinaia di vittime civili. Armenia e Azerbaijan si fronteggiano da anni, i rapporti diplomatici sono difficilissimi. Il loro è il confine proibito: famiglie divise che non si possono riunire da anni. E nel sottosuolo molte ricchezze petrolifere e minerarie cui nessuno vuole rinunciare.
Bryan è testimone di una vicenda per lui incredibile: “Viviamo con la paura di nuovi attentati, non possiamo lavorare perché tra COVID e guerra tutto è bloccato. Vista l’incertezza a giugno mi hanno rinnovato il contratto fino a dicembre, per ora ricevo i soldi regolarmente ma a volte ci dicono di stare a casa, che l’allenamento è sospeso per questioni di sicurezza. Siamo tutti molto spaventati. Nei primi giorni del conflitto, non capivamo nulla di ciò che stava accadendo in televisione o alla radio. Abbiamo guardato video su Internet per cercare di stare al passo. Abbiamo visto un gran dispiegamento di armi e di forze dell’ordine”.
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Il campionato armeno conta una sessantina di giocatori stranieri, almeno una decina sono brasiliani. Tutti trabalhadores do futebol come Perdigão e Tiago Galvão, Tiago Cametá. Il paese è totalmente coinvolto nel conflitto: “Fuori da qualsiasi negozio si raccolgono acqua e viveri da donare ai militari che partono per il confine, tutti hanno appeso la bandiera nazionale alla finestra. Un paio di miei compagni di squadra si sono ritirati per entrare a far parte delle truppe volontarie. É una situazione davvero folle, almeno per me…”
Folle, ma intanto il capitano della nazionale armena Varazdat Haroyan, che gioca in Russia nell’Ural, è al fronte per liberare il Nagorno-Karbakh e il difensore Liparit Dashtoyán, con l’Alashkert fino al 2019, è una delle prime vittime illustri che è tornato in un sacco dalla zona di guerra.
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Bryan sta vivendo la sua stagione più difficile. E dire che prima della guerra del Nagorno-Karbakh e tutto andava benissimo. I tifosi dell’Alashkert lo adoravano. Due gol, sei assist. A Yerevan lo chiamano Machina, la macchina: perché corre sulla fascia senza mai sosta crossando e calciando. Una delle sue migliori stagioni di sempre, paradossalmente: “É un peccato perché qui c’è una grande passione e i club nonostante la crisi e la guerra hanno pagato tutto consentendoci di giocare un buon calcio. Poteva essere un’esperienza fantastica e invece abbiamo tutti paura…”
Bryan è comunque un privilegiato, che vive tra quarantena, isolamento e coprifuoco in un moderno condominio di Yerevan dal quale può uscire solo se va al mercato. Allenamenti sospesi, campionato fermo alla terza giornata mentre altri due suoi compagni di squadra hanno deciso di andare al fronte nel Nagorno-Karbakh. Bryan non capisce: “Ritenevo folli le lotte tra le bande delle favelas, e mi preoccupavo per la mia famiglia che in Brasile vive a ridosso di quartieri di grande povertà e violenza. Ma qui i miei compagni si arruolano, e penso che alcuni non li vedrò mai più. Mi sembra triste, e pazzesco”.
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