Serie A. La scelta di Cristo di scegliere la maglia numero 33 all’Udinese riporta alla mente altri bizzarri abbinamenti come la 44 di Gatti a Perugia o la 7 di Nani alla Lazio. Una breve antologia
Quando la Serie A “dà i numeri”, le piccole perle di ilarità e di comicità non sempre volontaria abbondano. Parliamo, naturalmente, delle scelte dei numeri di maglia dei giocatori spesso legate a motivazioni particolari, personali. Ma si ricordano anche scelte di grande ironia, volontarie o no, come Cristo che sceglie la numero 33 all’Udinese. Alzi la mano chi, di fronte a questa di evidente simbolismo, non ha ripensato a “44 Gatti” che non è solo la canzone ma anche il numero dell’omonimo centrocampista del Perugia. Quel simpatico omaggio allo Zecchino d’Oro è la traccia più duratura che ha lasciato il suo passaggio in Serie A.
Non è l’unico caso di abbinamento numero-cognome dagli effetti bizzarri. Nella storia della Serie A “7 Nani”, centrocampista portoghese della Lazio che faceva pensare a Biancaneve, o l’evocativo “5 Sensi“, numero che l’attuale centrocampista dell’Inter aveva scelto al Cesena.
Poliglotta la scelta di Marco Fortin, portiere che negli anni migliori del Siena giocava con la maglia numero 14, La scelta non era affatto casuale. In inglese, infatti, 14 si scrive “fourteen” e si pronuncia, guarda caso, “fortìn”.
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Serie A, Zamorano e quella somma sulla maglia
La Serie A ha fatto comparire anche le addizioni, esplicite o meno, sulle maglie. Ivan Zamorano, bomber dell’Inter, nel 1998 ha dovuto cedere la maglia numero 9 a Ronaldo. Ripiega così sul 18 e inserisce un piccolo più fra 1 e 8. Il 18 diventa 1+8 che fa, appunto, nove. Il compagno di squadra di Zamorano all’Inter, Salvatore Fresi, l’ha in un certo senso imitato alla Salernitana. Non mette il segno più, ma sceglie la 33 con motivazioni identiche avendo trovato occupata la desiderata 6.
Nessuno dei matematici però batte l’australiano Tommy Oar, primo e unico a giocare una partita in nazionale con un numero a tre cifre sulle spalle. Voleva la numero 11, non l’ha avuta, non si è accontentato di raddoppiare. Ha elevato al quadrato e giocato con la maglia numero 121. Caso unico, perché la FIFA ha impedito che si ripetesse e vietato numerazioni oltre il 99.
Proprio il numero di Ronaldo nei suoi anni al Milan e di Cristiano Lucarelli al Livorno. Con quel 99 voleva dimostrare di essere due volte grande centravanti ma soprattutto collegarsi al numero scelto dalle brigate autonome livornesi, la parte più passionale del tifo amaranto.
Al Chievo, per un periodo la creatività l’ha fatta da padrone. Lupatelli ha parato con la maglia numero 10, il centrocampista Jonathan De Guzman ha giocato con la 1. Ma è stato un numero 1 solo nelle distinte.
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Perché Quagliarella indossa la 27
La scelta può nascere per ispirazione casuale, vale ad esempio per il 44 di Kulusevski, lo stesso numero con cui esordì al Manchester United Adnan Januzaj. Lo svedese, colpito dal suo sfrontato coraggio, inizia a giocare con lo stesso numero. E il resto è storia. Può nascere per un’affinità stilistica, ed è il motivo per cui Brozovic all’Inter gioca con il numero 77. Avrebbe voluto l’11, ha scelto la soluzione graficamente più simile. Non è troppo diversa la ragione per cui Kessie ha virato sul 79 quando ha dovuto cedere la “suo” 19 a Bonucci.
C’è anche chi preferisce non alterare le cifre che compongono il numero, ma sfruttare il principio della proprietà commutativa, per cui cambiando l’ordine dei fattori non si modifica il risultato. E’ il caso di Ilicic, che in Slovenia ha sempre giocato con la maglia n.27. Quando arriva in Italia, al Palermo, quel numero è di Javier Pastore. Così inverte le cifre e inizia a giocare con il 72, che ha conservato anche all’Atalanta.
Ci sono anche commoventi scelte personali da celebrare, come la ragione dietro la scelta di Fabio Quagliarella di indossare sempre il numero 27. Era il numero con cui esordì Niccolò Galli, suo amico e figlio di Giovanni, portiere del Milan di Sacchi e della nazionale, pochi mesi prima di morire per un incidente in motorino. Un modo piccolo ma toccante di portarne sempre in campo il ricordo.
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