Non tutte le strade portano a Roma o alla Premiership, quella di Jack Harrison, per esempio, è stata molto tortuosa.
Una storia che parte da un piccolo appartamento popolare di Bolton, dalla scuola calcio del Manchester United e da una madre pronta a tutto pur di realizzare i sogni di suo figlio. Anche a costo di infrangerli…
Jack Harrison, un bimbo promettente
C’era una volta un giocatore di grande talento, di appena 11 anni, cresciuto nella periferia popolare di Bolton da una mamma molto attenta e di grande coraggio. Sola, senza marito né compagno, con il suo unico stipendio a far quadrare i conti, la donna iscrive il figlio nella Academy locale del Liverpool, poi accompagna tutti giorni al campo di allenamento della squadra giovanile del Manchester United dove il giovane Jack entra a soli 8 anni. Qui si dimostra talentuoso, caparbio, ma anche estremamente leggerino.
Jack è anche molto intelligente, ha ottimi voti a scuola e il calcio potrebbe non essere la sua strada: “Vedevo la sua grandissima passione – dice sua madre – ma non ero così convinta che sono la sua passione sarebbe bastata a dargli un futuro da professionista. Mi sembrava che allo United non riuscissero a farlo crescere nel modo giusto, ho cercato di offrirgli una doppia opportunità”.
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Un lungo viaggio
Quando Jack compie 14 anni mamma e figlio si separano. La signora Debby, che lavora come segretaria in un ufficio legale, si indebita fino ai capelli, e comincia a fare due, tre lavori pur di pagare al figlio una scuola di grande prestigio, negli Stati Uniti. Allo United le danno della pazza: “Solo un giocatore è uscito anzitempo dall’Academy – le dicono i dirigenti – e ora fa il lavapiatti”.
In realtà non le dicono che molti altri giocatori che sono rimasti da qualsiasi Academy fanno il lavapiatti e che la percentuale di quattordicenni che diventeranno calciatori professionisti dopo essere stati in una scuola calcio, per quanto quotata, è dello 0,09%.
Debby lo iscrive al Berkshire School di Sheffield. Là dove Sheffield non è la vecchia capitale industriale inglese di argento e acciaio, ma uno splendido centro universitario del Massachusetts. E qui, Jack, comincia a fare onore agli investimenti della mamma. Prende una borsa di studio, si mette in luce non solo sul campo di calcio ma anche sui libri dove conquista una promozione dietro l’altra fino ad arrivare all’università.
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Tu vuo’ fa’ l’americano
É proprio nel campionato universitario fa il suo esordio, con i Wake Forrest Demons: gioca mezzapunta, poi ala destra, quindi alla sinistra segna numerosi goal uno dei quali assolutamente strepitoso, da sessanta metri, con un lungo pallonetto all’ultimo minuto di gioco quando il portiere avversario era uscito per andare in attacco. Negli Stati Uniti se hai delle qualità, soprattutto nel soccer, primo poi ti notano. E qualcuno lo nota: il primo a vederlo è David Villa, la stella del calcio spagnolo in quel momento al New Yok City Football Club. É lui a segnalarlo a Patrick Vieira, tecnico del club. New York lo strappa ai Chicago Fire come prima scelta del Draft 2016 e Jack si trova a esordire in Major League a soli sedici anni.
Jack viene messo sotto “contratto di sviluppo” come homegrown player, una sorta di prodotto del vivaio locale. In poco tempo comincia a conquistare il suo spazio, segna, si fa ben volere. La proprietà del NYC che è l’Etihad, la stessa del Manchester City, lo mette sotto contratto a lungo termine.
Jack continua a giocare, prosegue il suo percorso di studi, gioca e segna. Fa il suo esordio nell’Inghilterra Under 21 e il City lo richiama: è ora di tornare a casa…”
Jack è contento ma fino a un certo punto: amava molto giocare per New York e il suo programma era la laurea.
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Il destino inglese
Il Manchester City lo parcheggia tra le riserve, poi lo gira al Middlesborough, quindi al Leeds United dov’è tutt’ora in prestito con 84 presenze e dodici gol. Sua, domenica scorsa, la prima marcatura del Leeds nella sconfitta subita per 4-3 da Liverpool che gli è valsa i complimenti di Klopp… “se non sanno che farsene al City lo prendo io volentieri” ha detto a fine gara il tecnico di Reds che poi vuole conoscere la signora Debbie.
“Abbiamo avuto molti coraggio, tutti e due” dice la mamma di Jack Harrison, che negli Stati Uniti chiamavano Golden Boy e che lei ha soprannominato Squit, il nomignolo che si dà ai topolini. Perché la prima volta che Jack la chiamò dagli Usa, e aveva 14 anni, le disse che stava bene e che gli scoiattoli (in americano squirrel) erano giganteschi.
Alla domanda su come convinse il figlio ad andare dall’altra parte del mondo la signora Debby ha risposto, come sempre, molto sinceramente: “Gli mostrai tutte le foto dei calciatori più o meno famosi che erano appese nel corridoio dell’Academy dello United e gli dissi… sai che tutto questo non ti basterà a diventare una di quelle foto vero?”
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