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Calcio

Mancini e Vialli: ma che ne sanno i 2000 dei ‘gemelli del gol’

Non è sfuggita al grande pubblico l’immagine di Vialli e Mancini insieme sulla panchina azzurra: ecco perché l’amicizia tra i due leader del gruppo Azzurro è alla base dei successi dell’Italia

Pensando a questi due miti del calcio viene in mente la canzone “Che ne sanno i 2000”: che ne sanno di due giocatori che, insieme, hanno scritto la storia del calcio italiano, alzando gli standard di qualsiasi coppia d’attacco in una delle formazioni più straordinarie che il mondo del calcio abbia mai conosciuto, la Sampdoria degli Anni ‘90.

Mancini, Vialli e la SampdOro

È stato forse l’ultimo periodo nel quale siamo riusciti a vedere un calcio ancora umano, improntato all’improvvisazione e alla fantasia dove il divertimento era la chiave di tutto. C’erano ancora i ‘presidenti mecenate’ in grado di dedicare la propria fortuna alla realizzazione di imprese impossibili, come quella di vincere un titolo con squadre come la Sampdoria, il Verona e nel quale la Fiorentina lottava alla pari con la Juventus.

Il presidente della Sampdoria era Paolo Mantovani, un imprenditore che dopo una lunga gavetta da impiegato era salito al vertice del mercato petrolifero mondiale diventando uno degli uomini più ricchi d’Europa. Trattando sul prezzo del greggio stoccava petrolio e lo rivendeva al miglior offerente accumulando una fortuna inimmaginabile: all’epoca si diceva che guadagnasse oltre un miliardo di lire al giorno. Romano, genovese d’adozione, si appassionò al calcio con il tempo e con moderazione dedicando tutti gli ultimi anni della sua vita a rendere straordinaria la sua creatura più grande, la Sampdoria.

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Talenti a pioggia

A uno a uno Mantovani portò a Genova tutti i giocatori più giovani e più forti in circolazione: Pietro Vierchowod, inizialmente girato in prestito alla Roma di Andreotti come ‘favore personale’. E poi Luca Pellegrini, Mannini, Matteoli, Salsano, Pagliuca, Lombardo, Katanec, Mihajlovic.

E un giovanissimo Roberto Mancini arrivato in blucerchiato ancora minorenne dopo essere esploso nella sua prima stagione al Bologna. Per Mantovani Mancini era quasi un figlio: lo educò, viziò e coccolò rendendolo il fulcro di un progetto che portò fino alla sua conclusione, dopo la sua morte. Mancini, talento imprevedibile e straordinario, venne circondato di altri talenti che, a poco a poco, gli fecero respirare l’aria del grande calcio.

Liam Brady, scaricato dalla Juventus; ma soprattutto Trevor Francis, uno dei giocatori più forti mai visti in Italia: tanto estroso quanto sfortunato. Era sempre rotto, i tifosi del Genoa lo avevano soprannominato “l’uomo di cristallo”. Ma quando giocava… era uno spettacolo. La memoria dei tifosi blucerchiati ricorderà Francis e Mancini mettere in ginocchio l’Inter a San Siro. E poi in campo, fino a tarda sera, a Bogliasco, quando l’inglese insegnava al giovanissimo compagno come crossare dal fondo e le traiettorie più imprevedibili di un buon passaggio in profondità. Mancini riuscirà a rendere grandissimi tutti gli attaccanti che gli verranno affiancati.

Con lui segnarono gol a grappoli tutti: da Pino Lorenzo a Enrico Chiesa, da Claudio Branca a Gianluca Vialli con il quale costituì una delle coppie più forti di tutti i tempi.

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Vialli e Mancini, gemelli del gol

I due erano legatissimi, dentro e fuori dal campo. Paolo Mantovani perdonava le loro esuberanze perché sul campo erano travolgenti e soprattutto divertenti come nessun altro. Le scorrazzate in moto d’acqua al largo della spiaggia di Quinto, davanti alla villa di Vialli. Gli acquisti automobilistici compulsivi di Mancini che a un certo punto Mantovani bloccò, vincolando parte dei suoi guadagni in un fondo. Le conquiste femminili di Vialli che a Genova era lo scapolo più conteso della città.

Impossibile dimenticare le sceneggiate con le quali Vialli si presentava nella vecchia sede della Sampdoria, in via XX settembre, implorando il presidente di non essere ceduto quando il mercato lo chiamava a gran voce. Quando la Juventus era pronta a pagare cash per il suo cartellino trenta miliardi, Vialli entrò strisciando, in ginocchio, nell’ufficio del presidente fino alla scrivania. Mantovani si mise a ridere e gli disse… “Vattene scemo, stai tranquillo che non ti vendo”. Vialli non fu ceduto e per riconoscenza regalò alla Sampdoria il primo e unico titolo nazionale della storia blucerchiata.

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Il testamento di Mantovani

Molto prima di Eriksson e di Gullit che ‘usciva come cervo di foresta’, la Sampdoria vinse numerose edizioni di Coppa Italia, uno Scudetto, la Coppa delle Coppe, sfiorando la Coppa dei Campioni, persa in modo sfortunatissimo in finale e solo ai tempi supplementari contro il Barcellona. Mantovani da tempo era sofferente di cuore ed era convinto che le sue stagioni in blucerchiato volgessero al termine. Solo allora decise di cedere il suo gioiello.

“Questo è il mio testamento” disse davanti alla telecamera di Primocanale spiegando per quale motivo avesse deciso di cedere il fuoriclasse. Vialli, per la prima volta, non protestò. Si capì che Mantovani non era nella condizione di poter portare avanti il suo progetto quanto avrebbe voluto. E in effetti, di lì a qualche anno, morì. Non senza aver visto realizzato il suo sogno di vincere, regalando alla Sampdoria una sede prestigiosa come quella di Bogliasco, e conti sani, destinati a una cessione eccellente.

Il futuro non fu altrettanto fortunato: la SampdOro, dopo qualche investimento sbagliato e parecchi acquisti mancati, finì in serie B per tornare nel massimo campionato solo dopo, con Enrico Garrone. La storia recente è completamente diversa da quegli anni mitici.

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La prima stagione insieme di Vialli e Mancini in blucerchiato

La Sampdoria è il Paradiso

“La Sampdoria gioca come in paradiso”. Tra le tante frasi che vengono attribuite a Vujadin Boskov, allenatore dello scudetto e straordinario mentore di Mancini e Vialli, questa resta forse la più azzeccata e  più amata dai tifosi blucerchiati. A Genova per un decennio abbondante, hanno vissuto di pane e soddisfazione, di calcio e orgoglio. Di una squadra che divertiva, vinceva e che era competitiva con i colossi di mezza Europa.

Uno scenario che forse oggi può essere avvicinato soltanto dall’Atalanta. Forse, nonostante tutto, in una storia del calcio sempre più intasata di globalizzazione e di investimenti stranieri, ci può essere ancora un imprenditore italiano che creda in un progetto che non sia soltanto far girare del denaro ma creare qualcosa. Un calcio molto lontano da quello di oggi del quale Roberto Mancini e Gianluca Vialli rappresentano una testimonianza diretta e indimenticabile. Anche se i video di quell’epoca sono sempre più sgranati e la memoria tende a vacillare di fronte agli anni che passano.

È bello rivederli insieme. E scoprire che, almeno in parte, quest’Italia nella quale hanno esordito ben 25 giovanissimi sotto la gestione del CT, è figlia loro. Figlia di una mentalità che guarda ancora al divertimento e allo spettacolo come alla caratteristica principale del calcio. Una mentalità ereditata da un atteggiamento che quasi trent’anni fa era l’unico possibile. E che oggi viene considerato da molti tecnici e proprietari un inutile rischio.

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Vialli e Mancini di nuovo insieme con la Nazionale azzurra (Getty Images)
Stefano Benzi

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Stefano Benzi

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