L’eliminazione contro il Lione in Champions League rimette in discussione il futuro del tecnico. I tifosi non vogliono la sua conferma sulla panchina: Sarri out è già in tendenza sui social
Sarà Lione-Manchester City il quarto di finale di Champions League. Fuori dalla Final 8 il Real Madrid di Zinedine Zidane, capace di dieci vittorie nella Liga post-lockdown e Maurizio Sarri che, pur senza né il miglior attacco né la miglior difesa, ha vinto il campionato.
Ma non è stato scelto a inizio stagione per la conquista della Serie A, quanto per tentare di migliorare gioco e rendimento in Europa.
Ma la doppia sfida contro il Lione di Rudi Garcia ha raccontato come dietro la scelta di un nuovo allenatore non ci sia stato il necessario cambiamento di organizzazione, a partire dal campo.
Sarri è sembrato, soprattutto dopo la sospensione della Serie A per la pandemia di Covid-19, accontentarsi di gestire, rassegnato a non poter plasmare un diverso modo di giocare.
Probabilmente consapevole che è una missione quasi impossibile giocare velocemente in verticale se, come si è visto contro il Lione, i centrocampisti non si muovono senza palla e non dettano il passaggio.
E i terzini vanno avanti a crossare come se al centro dell’attacco ci fossero ancora Vialli e Ravanelli come nella notte dell’Olimpico nella finale del 1996, ultimo trionfo bianconero in Champions.
Così, l’immagine di Sarri che nel finale urla “It’s a shame” verso il quarto uomo, per le troppe perdite di tempo dei francesi, potrebbe essere l’ultima del toscano da allenatore della Juve. Stavolta niente violini per Rudi Garcia, ma una partita molto “italiana” per la settima classificata della Ligue 1, campionato comunque cresciuto al di là dell’effetto PSG, come organizzazione e appeal televisivo.
La Juve non aveva mai perso una doppia sfida europea contro una squadra francese, e non usciva prima dei quarti in Champions dalla stagione 2015-16. I giudizi, diceva il ds Paratici a Sky prima del match, “non sono mai presi su una singola partita, ma sulla stagione, sulle cose buone e su quelle meno buone che sempre ci sono. Sarri ha ha fatto un bel percorso negli ultimi anni, ha fatto vedere un bel calcio, ha dimostrato di meritare di essere l’allenatore della Juve”.
Sarri out, l’hashtag torna a dilagare sui social
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I tifosi però non la vedono così e i “Sarri out” si moltiplicano su Twitter. Pesa la mancata trasformazione dell’identità della Juve, anche se i giocatori hanno dato l’impressione di non essere così pronti o motivati ad imparare come interpretare un calcio diverso da quello conosciuto. Pesa l’essersi trovato costretto a mettere di fatto a rischio l’integrità di uno dei suoi giocatori più importanti per ribaltare il risultato. Un fallimento, un passo indietro enorme nello spirito di squadra, nella fiducia, nella personalità di tutta la squadra rispetto alla finale di Cardiff che non è certo lontana anni luce.
In questo mancato incontro di volontà, le responsabilità sono certamente anche del tecnico, ma non solo. Se la Juve vista nelle due sfide contro il Lione si aggrappa a Cristiano Ronaldo come un naufrago a un pezzo del relitto della nave, la colpa non può essere solo di Sarri.
I nomi dei possibili sostituti non mancano, le indiscrezioni si moltiplicano, vanno da Mancini a Simone Inzaghi a Gasperini, che alla Juve ha iniziato come allenatore delle giovanili e l’identità Juve la conosce meglio di Sarri. Alla Juventus serve un tecnico che sappia come farsi ascoltare dai giocatori, e Sarri non ha dato quasi mai la sensazione di risultare convincente per la maggior parte dei suoi giocatori.
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D’altra parte, se è fallita alla prova dei fatti la rivoluzione sarriana, rimasta tale solo nel nome, è ancora più difficile che si possa completarne una seconda, in direzione diversa, in meno di un mese. Anche perché se dovesse arrivare un nuovo tecnico, potrebbe contare su un numero limitato di certezze, come sottolinea sul suo profilo Facebook Claudio Pellecchia di Esquire e Rivista Undici (pensiero più che condivisibile): il portiere, i difensori centrali (meno Rugani, non ce ne voglia), Bentancur e i neo-acquisti Kulusevski e Arthur in mezzo, Dybala davanti.
Più Cristiano Ronaldo che fa storia a sé, che gioca contro se stesso e la storia, i numeri e i record. Ma nemmeno lui riesce a cambiare la storia da solo. Forse l’unico vero segno del tempo che passa anche per lui.
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