L’ex allenatore dell’Inter José Mourinho si confessa alla Gazzetta dello Sport, alla quale racconta molti retroscena sul triplete e la sua esperienza in nerazzurro. Tra gli aneddoti anche il singolare modo per “stimolare” i suoi giocatori
Nel decimo anniversario del Triplete dell’Inter Josè Mourinho si racconta alla Gazzetta dello Sport. Nel decimo anniversario della celebre impresa, l’allenatore portoghese racconta con piacere come l’esperienza a Milano sia stata la più importante della sua carriera: “Il meglio l’ho dato sempre quando mi sentivo a casa – ha spiegato l’allenatore – dove potevo sentire tutte le emozioni di un gruppo unito e dove mi sentivo col cuore dentro al 200%. Conta più la persona che l’allenatore, è questo che fa la differenza. Il 22 maggio a Madrid non ero felice per me, ma nel vedere quella degli altri. Io una Champions l’avevo già vinta”, ha ricordato lo “Special One”.
“E’ come quando diventi padre – ha proseguito l’allenatore – non metti più tu al primo posto ma gli altri. L’altro giorno ho parlato con Alessio, l’autista del club. Ma quando capita che dopo 10 anni ci si sente ancora con un autista. Ma questa è l’Inter, per me è la mia gente”.
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Il portoghese sottolinea gli aspetti del suo carattere che lo hanno reso celebre: “Io non sono un fake, per questo ho empatia nei rapporti. Sono io e basta. Quindi sono stato anche una testa di cazzo, ma sempre io ero. Dopo la sconfitta di Bergamo (3-1 nel gennaio del 2009) mi arrabbiai molto coi giocatori, sono stato violento. Gli dissi che avevano vinto degli scudetti di merda e li avevo feriti. Però dopo mi scusai con loro”.
Uno dei retroscena di Mourinho più famosi riguarda il suo mancato ritorno da Madrid, dopo la vittoria della Champions: “Il motivo non fu che avevo firmato già col Real, perché non è vero. Non tornai perché i tifosi mi avrebbero convinto a restare. E’ vero che volevo andare al Real, ma Moratti mi fermò e io non ho incontrato nessuno di loro. E’ vero che ai Blancos non puoi dire di no tre volte, e alla fine ho accettato. La mia decisione arrivò dopo la seconda semifinale con il Barcellona, perché sapevo che avrei vinto la Champions League. Moratti aveva capito cosa volevo, e mi disse: “Dopo quello che hai fatto, hai il diritto di andare”.
Ma io sapevo che era il diritto di fare quello che volevo, non di essere felice. Infatti ero felice a Milano, non a Madrid”. Mourinho svela un aneddoto su Guardiola: “Quando durante la semifinale Thiago Motta fu espulso li vidi esultare in panchina. Allora mi avvicinai a Guardiola nell’intervallo e gli disse che non era finita”.
E infine lo Special One celebra chi per lui è il suo giocatore simbolo: “Materazzi era il simbolo di tutti noi. Lo era anche quando andai via con le sue lacrime. Lui era un giocatore di squadra, fu l’ultimo che vidi prima di andare via. Mi fa molto strano che oggi uno come Materazzi non sia dentro l’Inter”. E infine sul suo eventuale ritorno in nerazzurro: “Ho smesso di dire che un giorno tornerò – ha concluso Mourinho – ma il motivo non lo dico. Non sono un pirla…”.
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