La Serie A può ripartire a metà giugno. Il 28 maggio arriverà la decisione definitiva, intanto si lavora alla distribuzione degli eventi su un possibile calendario estivo. Gli incastri, fra date e orari, sembrano dare qualche problema. I dettagli.
Non conta la luce, ma quello che si nasconde nell’ombra. Sembrava tutto risolto in Serie A, con la ripartenza vista come possibilità e non più come utopia e le squadre pronte a giocare dopo un tira e molla serrato fra Comitato Tecnico-Scientifico e FIGC. Proprio quando sembrerebbe mettersi tutto per il verso giusto arrivano altri ostacoli, beghe da risolvere, interrogativi a cui bisogna trovare una risposta. In breve, se possibile.
Serie A, al vaglio tre fasce orarie per giocare: la “ripartenza” prende forma
Si gioca, ma quando? Le possibilità sono diverse, così come gli umori che serpeggiano dietro questa decisione: le fasce di calendario, in definitiva, sarebbero due. La prima che va dal 13 giugno sino al 2 agosto e si ripartirebbe dalla 27esima giornata, oppure la seconda ipotesi (in cui la forbice fra asse temporale e disponibilità collettiva si stringe ancor di più) che prevederebbe la (ri)partenza il 20 giugno. Senza contare gli appuntamenti della Coppa Italia con Napoli e Milan dirette interessate. Tante ancora le incognite, una su tutte: la situazione relativa ai contagi, perché prima del calendario viene la salute e – qualora le statistiche dovessero dare riscontri poco incoraggianti – alcune gare potrebbero giocarsi in campo neutro a seconda della zona imputata. Il Sud, al solo pensiero, trema: se da una parte c’è la necessità, dall’altra c’è la contingenza.
Le regioni che stanno lentamente cercando di rialzarsi non vedono di buon occhio questi possibili continui spostamenti da una locazione all’altra a seconda del fattore di rischio, poi – altro fattore poco considerato – è il sottobosco di club che ufficialmente si sono schierati a favore della ripresa ma ufficiosamente sperano in una sospensione delle attività per evitare ulteriori problemi di salute, che graverebbero ancora di più su bilanci problematici. Allora mandano in avanscoperta gli ultras: i più esposti nell’opposizione alla ripartenza degli impegni agonistici. Ad ogni modo si lavora anche sui possibili orari: tre fasce principali in cui si potrebbe giocare.
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Bisogna tener presente anche il ruolo – preponderante – delle televisioni (anche loro nella bagarre): allora l’ipotesi principale è di giocare basandosi su tre finestre possibili alle 16.30, alle 18.45 e alle 21.00. Tripartizione che fa storcere il naso ad alcuni: il fattore caldo, specialmente al Sud, potrebbe giocare brutti scherzi. Intanto, con più dubbi che certezze, il vice presidente vicario della FIGC e deputato di Forza Italia, Cosimo Sibilia, prova a mettere ordine: “È ovvio che vedere partite senza pubblico è uno spettacolo monco – spiega a Radio Punto Nuovo – ma il calcio deve ripartire come segnale di normalità, sta avvenendo lo stesso in ciascun settore del Paese. Bisogna trovare il compromesso più idoneo per ripartire in sicurezza e con l’accordo di tutti. Club, addetti ai lavori e televisioni. Sarà difficile ma ci proveremo”.
L’impegno è unanime, dunque. La sensazione, tuttavia, è quella di essere ancora in alto mare dopo i primi avalli dal punto di vista medico-scientifico: ora l’iter più difficile è quello programmatico che deve tener conto, per forza di cose, anche di una realtà frastornata dagli eventi storico sociali. Forse pensare al calcio è davvero più complicato del previsto con lo spauracchio del COVID-19 a fare da unico spettatore, per giunta non pagante.
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