La Champions League è diventato un vero e proprio brand, forte e riconoscibile. Merito soprattutto dell’inno, che risuona sempre uguale in tutti gli stadi e da tutte le televisioni d’Europa. Come nasce e cosa dice la composizione che fa sognare
Un pellegrino ungherese, un turista tedesco, un tassista turco, una donna d’affari inglese, una nonna russa, una coppia francese di artisti di strada. Sono i personaggi che popolano i quattro episodi di “One day in Europe”, film del regista tedesco Hannes Stöhr del 2005.
Le storie si svolgono tra Santiago de Compostela, Istanbul, Berlino e Mosca nel giorno di un’ipotetica finale di Champions League. Nel film, si sfidano per il titolo, proprio a Mosca, Galatasaray e Deportivo la Coruna. La cornice è perfetta per raccontare le somiglianze e le differenze d’Europa. Perché in qualunque città, qualunque tifoso di calcio riconosce la Champions League per il pallone con le stelle, e soprattutto per la musica. Per l’inno che risuona in tutti gli stadi, e in tutte le televisioni, prima di ogni partita dal preliminare alla finale.
Come nasce l’inno della Champions League
Fin dal momento della decisione di trasformare la Coppa dei Campioni in Champions League, la UEFA ha attivato la compagnia che si occupa di marketing (Television Event and Media Marketing, TEAM) di sviluppare il brand della nuova competizione.
Un passaggio chiave è la scelta dell’inno, che Sam Borden ricostruisce in un articolo del New York Times del 2003. Borden riporta la testimonianza di Craig Thompson, allora direttore esecutivo della compagnia TEAM. “Il calcio europeo allora non aveva una buona reputazione, viste le tragedie legate agli hooligans. Creare la Champions League serviva a migliorarla. Come musica, tutti pensavano che avremmo usato We are the Champions dei Queen, ma cercavamo qualcosa di classico” ha detto.
Possibilmente qualcosa che ricordasse l’opera, anche perché in quegli anni erano particolarmente popolari i concerti con i Tre Tenori: Plácido Domingo, José Carreras e Luciano Pavarotti.
Tony Britten, che ha composto diversi jingle per la pubblicità, lavora per un mese e poi presenta una versione riarrangiata di uno dei quattro inni da incoronazione di Haendel. Si chiama “Zadok the priest”, ed è una composizione barocca per un coro a sette voci. Il titolo si riferisce a Zadok, o Sadok, primo sacerdote del tempio di re Salomone. Composto per l’incoronazione di Giorgio II di Gran Bretagna del 1727, continua ad essere seguito ad ogni proclamazione di un sovrano britannico.
Una sposa in Spagna l’ha fatto eseguire al posto della marcia nuziale nel giorno del suo matrimonio, come racconta Borden. Britten registra la versione originale agli Angel Studios di Islington, Londra, con la Royal Philharmonic Orchestra e il coro della Academy of St. Martin in the Fields. Nel 2001, prima della finale, ne ha diretto una memorabile esecuzione dal vivo a San Siro con il coro della Scala.
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Cosa dice il testo dell’inno
Per comporre il testo, Britten intreccia una serie di espressioni e superlativi nelle tre lingue ufficiali della UEFA, inglese, francese, e tedesco. Frasi come “le squadre migliori”, “i calciatori più forti” si intrecciano fino all’esplosione finale del coro: “The champions!”.
L’arrangiamento trionfale, il suono metallico dei corni collega gli eroi del calcio ai sovrani dell’Ancient Régime. Racconta un sogno nobile, aristocratico, per pochi. Inizialmente solo per otto, tante erano le squadre ammesse nella prima edizione della fase a gironi, che iniziava dopo gli ottavi e qualificava le prime dei due gruppi alla finale. Tante, non a caso, sono le stelle che si uniscono nello Starball, il logo della Champions League. Stelle che si toccano, che riportano alla bandiera dell’Unione Europea. E finiscono per rappresentare un punto di arrivo, la concretizzazione di un desiderio di grandezza, esclusivo e lussuoso. A cui tutti possono aspirare, ma in pochi possono raggiungere.
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