Mario Sconcerti, editorialista del Corriere della Sera, invita la Serie A a concentrarsi sulla prossima stagione. “Oggi, non esiste un prossimo campionato” scrive
“Il calcio sta sprecando energia in una straordinaria battaglia di retroguardia“. Mario Sconcerti, editorialista del Corriere della Sera, considera di fatto chiusa questa stagione e invita il mondo del calcio a sfruttare questo tempo sospeso per interrogarsi su come far partire la prossima.
“Che senso ha cercare un protocollo per quaranta giorni e non uno per l’anno che seguirà di lì a un mese?” scrive. La fase due, che il governo ha stabilito di avviare il 4 maggio, comincia con un numero di nuovi contagi non così inferiore rispetto all’11 marzo, il primo giorno del lockdown, dell’Italia zona rossa. Nell’incertezza sui numeri, sul totale reale dei contagiati, in questa corsa in cui cercare di salvaguardare la salute dei cittadini senza mandare al tracollo l’economia, il calcio è al centro del dibattito.
Perché è popolare, perché è una grande azienda che dà lavoro a 250 mila persone tesserati esclusi, perché mette insieme Cristiano Ronaldo, Dybala che dopo 40 giorni è ancora positivo, e i calciatori di Serie C che non prendono lo stipendio e devono pagare il mutuo.
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Serie A, Sconcerti: “Il calcio non ha distanza di sicurezza”
Ma allo stesso tempo, scrive Sconcerti, il calcio è un’azienda esposta. “Non ha distanza di sicurezza, è fatto di uomini sudati che per definizione si cercano a vicenda. Vivono per forza in comunità, viaggiano, vengono massaggiati, curati, toccati continuamente. Hanno bisogno di sputare spesso per compensare il respiro. Come si possono proteggere una volta tornati nel mondo?“.
La soluzione tampone della “reclusione” nei rispettivi centri o in alberghi selezionati da qui a fine stagione, può valere per consentire di finire questo campionato. Ma non può certo rappresentare il pilastro su cui costruire la prossima, in assenza di un farmaco o di un vaccino.
Anche chi ha fatto della ripresa di questa stagione il cuore di una battaglia economica, per non perdere i milioni delle tv, dovrebbe riconoscere che in questo momento “in questo momento un prossimo campionato non esiste. Quale governo, quale ente sportivo, si prenderà la responsabilità di farlo ripartire? E con quali regole di sicurezza?” scrive Sconcerti. E il danno finanziario sarebbe esponenzialmente maggiore.
A un certo punto, si arriverà ad accettare “di vivere il calcio con un moderato rischio di contagio, in fondo è quello che succederà dovunque, dalle fabbriche alle strade. Si può decidere di andare avanti con piccolo sprezzo del pericolo anche in uno stadio. Ma ci sono le regole comuni, c’è il buon senso. Ci sono necessità” prosegue. C’è un limite da individuare: fino a che punto il calcio è un bene essenziale? Qual è la soglia entro la quale si può chiedere ai calciatori di andare in strada con guanti e mascherine e poi di accettare un rischio maggiore una volta in campo?
Nessuno, conclude Sconcerti, “con le leggi di oggi si prenderebbe la responsabilità di far partire (la prossima stagione). Stiamo solo eliminando il problema eliminando la domanda. Ma se salta la stagione, allora sì, salta davvero l’intera industria del calcio, dai palloni alle partite, dai soldi alla distrazione sociale, alle televisioni, a chi costruisce scarpette e maglie, dai contratti dei calciatori ai tanti media che lo raccontano“.
E agli agenti dei calciatori, onnipresenti nelle trattative di calciomercato che riempiono tv, giornali e siti web. Perché, scrive, “per avere un mercato, serve un campionato. E quello adesso non c’è”.
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