Agnelli contro Lauro, Platini contro Maradona, Allegri contro Sarri. Quando Juventus e Napoli si incontrano, non va in scena solo una sfida tra due squadre. Ripercorriamo storia, personaggi e statistiche della rivalità.
Juventus-Napoli non è una partita come le altre. Ad ogni capitolo della sfida, si ripete lo scontro tra l’orgoglio cosmopolita di una potenza del calcio del nord e il senso di appartenenza di chi vive il pallone come forma di appassionato riscatto, come affermazione di un’identità che più locale non si può.
Da un lato, la Juventus della Torino industriale, la più amata e la più odiata d’Italia, la vetrina sportiva della Fiat. Dall’altro, la Napoli calcisticamente monoteista. “Napoli e Juventus sono i due punti terminali della retta della passione che non si incontrano mai, due tifoserie agli antipodi, una che vuole essere ed un’altra che vuole avere” ha scritto Angelo Forgione, che ha teorizzato l’esistenza, nel tifoso del Napoli, di una perversa mentalità di minorità autodeterminata.
I numeri della rivalità Juventus-Napoli
In Serie A, Juve e Napoli si sono affrontate complessivamente 148 volte, con 69 vittorie bianconere e 32 successi degli azzurri. A queste si aggiungono sei incontri nell’antica Divisione Nazionale, due in Serie B, undici in Coppa Italia. Tre volte, Napoli e Juve si sono scontrate in Supercoppa Italiana. In più, si registrano anche due derby in Europa, nei quarti di Coppa Uefa 1988-89. La Juve vince 2-0 a Torino, gol di Bruno e autorete di Corradini. Al San Paolo, il 15 marzo 1989, dopo un gol annullato a Laudrup, scatta la rimonta del Napoli: rigore di Maradona e gol di Carnevale, si va ai supplementari e al 119′ Renica fa impazzire la Curva B. Il Napoli passa, batterà in semifinale il Bayern Monaco e trionferà contro lo Stoccarda in finale.
Platini contro Maradona, che sfide
Negli anni Ottanta, Juve-Napoli vuol dire soprattutto Platini contro Maradona. Da un lato un re nato in una via dedicata all’autore del Piccolo principe. Dall’altro un ribelle da letteratura che incarna il lato infantile del calcio creolo, imprevedibile per definizione, furbo, improvvisatore, al di là delle regole.
Il primo incrocio fra i due numeri 10, il numero del calcio, è un’anonima sfida di metà classifica che non riscalda l’antivigilia di Natale: Platini completa il 2-0. Il genio si palesa il 3 novembre 1985, una domenica di pioggia a Fuorigrotta. La punizione a due in area, battuta a foglia morta, sfida la fisica. È l’alba del Pibe, il primo tramonto di Le Roi, il cui regno comincia a spegnersi nella stagione del primo scudetto del Napoli, il 9 novembre 1986.
Prima della partita l‘inviato della Rai Franco Costa sale le scale del Comunale con Gianni Agnelli. Costa, come sempre, indossa un impermeabile scuro, il solito cappello a tesa larga e il borsalino, suo vezzo distintivo. La Fiat ha appena acquistato l’Alfa Romeo, battendo la concorrenza della Ford, l’Avvocato spera di concludere bene la settimana. Ma gli azzurri vincono 3-1 nella Torino bianconera, come nel 1957. Al fischio finale, Maradona si prende gli ultimi applausi a metà campo, Platini esce di fretta e a testa bassa: a fine campionato, lascerà il calcio.
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Juventus-Napoli, la top 11 dei doppi ex
La storia della rivalità è scandita anche da dispetti di mercato e passaggi da una squadra all’altra vissuti come tradimenti. I giocatori che hanno militato nella Juve e nel Napoli compongono una formazione ideale di tutto rispetto.
In porta Dino Zoff, riflessivo e schivo, che in cinque anni ha sviluppato un amore all’apparenza impossibile con la Napoli tutta cuore e passione. Ha trent’anni quando nel 1972 passa alla Juventus che si sta rifondando. La sua storia in bianconero durerà undici storiche stagioni, anni di parate e uscite e vince casomai i Mondiali.
Due i pilastri della difesa. Fabio Cannavaro, che ha esordito in Serie A contro la Juventus e in bianconero arriverà nel 2004, restando fino all’estate del Mondiale. E Ciro Ferrara, che ancora si chiede come abbia fatto Maradona, al 40′ del primo tempo, il 17 maggio 1989 al Neckarstadion di Stoccarda, a disegnare un assist di testa di pura invenzione. La sua carriera si dividerà in parti quasi uguali fra Napoli e Torino. Il terzo uomo può essere Corradini.
A centrocampo, a destra giocherebbe Oscar Damiani, ala frenetica che vinse un titolo alla Juventus nel 1975, oggi uno dei più importanti procuratori italiani e grande collezionista d’arte. A sinistra Massimo Mauro, quattro anni a Napoli e quattro a Torin. In mezzo Fabio Pecchia e Manuele Blasi.
In attacco, non può mancare il genio di Omar Sivori, capocannoniere nel 1959-60, Pallone d’Oro 1961, 174 gol in 259 partite alla Juve, che chiuderà la carriera al Napoli di Pesaola. Il Cabezòn, diceva Agnelli, è un vizio. Sorriso pronto, svelto di gambe e di parola, lascia l’Italia dopo un Napoli-Juve del primo dicembre 1968. E lo annuncia in tv a Canzonissima.
Con lui ha giocato, nel Napoli, Jose Altafini che poi passerà alla Juve e diventerà “core ‘ngrato” per il gol dell’ex il 6 aprile 1975. E’ la rete che vale lo scudetto per la Juve contro il visionario Napoli di Vinicio. A chiudere il tridente Gonzalo Higuain, il bomber dei record del Napoli di Sarri, che ha seguito il tecnico a Londra e a Torino e si è presentato quest’anno con un supergol nel 4-3 al Napoli.
In panchina, Marcello Lippi che ha portato il Napoli nel 1994 in Coppa Uefa allenando anche senza stipendio per lunghi periodi, poi porta la Juve in cima al mondo con un calcio tutto forza e pressing continuo, verticalizzazioni esasperanti e un ritmo insostenibile.dopo 405 partite e 13 trofei in otto anni. In due cicli, ha guidato la Juve in 405 partite e vinto 13 trofei.
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Allegri e Sarri, modelli a confronto
Nelle ultime stagioni, il confronto tra Massimiliano Allegri e Maurizio Sarri monopolizzato il campionato e il senso della sfida.
Allegri sceglie la mutevolezza dei numeri e delle formule, nel rispetto di una filosofia precisa: difesa alta e in avanti, pressing coordinato, controllo prolungato del pallone.
Sarri, l’impiegato di banca diventato scienziato del pallone, tornato in quella Napoli in cui è nato per accidente e rimasto per ambizione, ha messo la ragione al servizio di un sogno. Ha creato un sistema codificato e difficilmente replicabile capace di esaltare una narrazione identitaria. Esalta l’orgoglio e l’appartenenza, ma non basta per vincere. E il ciclo ricomincia.
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