Raccontiamo la storia di uno dei programmi che ha cambiato il racconto del calcio in tv, il Processo del Lunedì.
Ha cambiato il linguaggio del calcio in televisione. Aldo Biscardi con il suo “Processo del lunedì” ha inventato un format tra i più longevi della tv, ha messo insieme l’alto e il basso, spostando il bar sport davanti alle telecamere.
Ha creato personaggi, “sgub” veri e verosimili, scatenato battaglie per la moviola in campo e per Roberto Baggio ai Mondiali del 2002. Ha alternato una trentina di vallette e una quantità di personaggi, attori e maschere di una grande commedia all’italiana. Ma ha anche tenuto due ore in collegamento Sandro Pertini, presidente della Repubblica, improvvisato perfino telecronista.
La prima, storica, puntata del Processo del lunedì va in onda il 15 settembre 1980, dopo la prima giornata del primo campionato di Serie A dopo la riapertura delle frontiere. Biscardi ha ideato il programma ma si vede solo nella sigla. Conducono Enrico Ameri, prima voce di Tutto il calcio minuto per minuto alla radio, e Novella Calligaris. In studio c’è Nils Liedholm, allenatore della Roma. In collegamento da Milano Sandro Mazzola e Annibale Frossi, oro olimpico a Berlino ’36 con la nazionale di Pozzo, poi tecnico dell’Inter e giornalista; a Torino Giovanni Trapattoni, allenatore della Juventus; a Napoli Ruud Krol, il colpo dell’estate della società. Difficile pensare oggi a un parterre simile in tv.
L’invenzione del Processo del lunedì
All’inizio la formula è “procedurale”, difesa e accusa che dibattono su un tema. Il programma diventa subito popolare e nell’edizione 1982-83 ottiene un collegamento con Pertini in vacanza a Selva di Val Gardena. Il servizio, di Franco Solfiti, dovrebbe durare un quarto d’ora. Il presidente resta invece per tutta la puntata e racconta perfino in diretta le evoluzioni sulla neve degli alpini.
Dall’anno successivo, Biscardi passa alla conduzione. Come ha scritto sul Corriere della Sera Aldo Grasso, che Moggi ha ritenuto essere la mente dietro le “pagelle del comandante Stopardi” ai programmi tv concorrenti, Biscardi è stato “l’ultimo erede dell’istrione itinerante, il comico dell’arte che recita “a soggetto” lasciando a sé a e a suoi comprimari ampi spazi d’improvvisazione, pur nella fissità di fondo”.
L’agorà popolare che univa Giulio Andreotti e Gianni Agnelli, Franco Zeffirelli e Gianni Brera, resta su RaiTre fino al 1993. L’ultima edizione Rai vede, al fianco di Biscardi, Mariella Scirea, la vedova di Gaetano che sarà eletta deputata. Di quell’edizione, si ricorda anche un feroce scontro in diretta con Silvio Berlusconi, che interviene in qualità di presidente di Mediaset. Si lamenta di come sono state trattate le sue deposizioni spontanee nell’indagine sull’applicazione della legge Mammì e la questione dell’assegnazione delle frequenze per il Giro d’Italia. “Non rispetto chi dice falsità” dice il Cavaliere. “Evidentemente per lei il pluralismo è un optional” replica Biscardi. Non è la prima lite, non sarà l’ultima. Memorabile il duello tra Vittorio Sgarbi e l’ex sceneggiatore e politico Pasquale Squitieri.
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Berlusconi sarebbe tornato con ben altro spirito in collegamento con Biscardi. Resta nella memoria almeno una telefonata storica, quella del gennaio 2009, in cui annuncia che non venderà Kakà, fantasista brasiliano del Milan considerato ormai vicinissimo al Manchester City. In studio Tiziano Crudeli, tifosissimo del Milan, non contiene la gioia. Kakà sarebbe poi passato al Real Madrid l’estate successiva per poco più di 64 milioni di euro.
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L’addio alla Rai e il “Moviolone”
Dopo la stagione in Rai, Biscardi trasporta il suo “Processo” a Telepiù, poi a Telemontecarlo, che diventerà La7, e infine a 7Gold. Nel 1996, al primo anno a TMC, nascono le “bombe di Maurizio Mosca”. Due anni dopo, il programma si sdoppia in due studi, Milano e Roma. Si esalta così la trasposizione televisiva degli scontri da bar, come hanno scritto Clari e Nardi sulla Gazzetta dello Sport alla morte di Biscardi. Scontri “elevati da interventi di avvocati e politici, che alternavano funzioni istituzionali a slanci da tifosi, facendo “fioccare polemiche come nespole”. A corredo di una discussione che faceva ascolti, anche per veri o presunti “sgub”, c’era la imitatissima parlata del suo rosso conduttore, quel marchio di fabbrica che faceva camminare sempre Biscardi sulla sottile linea che divide il personaggio dalla maschera teatrale, quasi felliniana. In questo, Biscardi era la versione “sportiva” di un altro grande personaggio della nostra televisione, Mike Bongiorno”.
Proprio a questa componente teatrale si deve l’archiviazione di una querela contro Biscardi, Maurizio Mosca, Xavier Jacobelli e Franco Melli che la Procura di Roma ha deciso nel 2000. Biscardi, si legge nel dispositivo, ha argomentato “in termini convincenti e rispondenti al vero che trattasi di un programma televisivo il cui oggetto principale è proprio quello di suscitare con linguaggio diretto ed espressioni volutamente forti discussioni, spesso pretestuose, tipiche da bar sport“. Inoltre, “la credibilità oggettiva delle notizie riportate e fatte oggetto di dibattito è riconosciuta come assai bassa, secondo l’opinione comune, trattandosi non infrequentemente di notizie create o gonfiate per suscitare la polemica“.
Sempre più personalizzato negli anni, il Processo di Biscardi ha inciso sul modo di vedere, vivere, raccontare il calcio in Italia. Il suo inventore è finito coinvolto anche in Calciopoli, per le telefonate di Luciano Moggi che chiedeva di assolvere arbitri e mascherare l’entità di posizioni di fuorigioco al “Moviolone”.
Proprio sulla moviola in campo si è battuto per anni. E pochi mesi prima della morte, avvenuta nell’autunno 2017, ha visto la sua ultima grande vittoria: l’introduzione del VAR. Il “moviolone” è diventato realtà.
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