L’epidemia di coronavirus costringe a guardare un tempo senza sport. E insieme, suggerisce come potrà essere il tempo dello sport dopo la pandemia. Per i tifosi che torneranno allo stadio e per quelli che guarderanno le partite da casa.
“In passato, abbiamo celebrato lo sport come un grande ritorno alla normalità, ma stavolta non sarà lo stesso. Penso che, alla prima partita a porte aperte, guarderemo più lo spettatore accanto a noi che il gioco” ha detto alla Reuters Victor Matheson, specialista di economia dello sport al College of the Holy Cross in Massachusetts.
L’esperienza dello stadio sarà a lungo molto diversa da quella a cui siamo abituati finora. Anche quando si smetterà di giocare a porte chiuse, la capienza resterà presumibilmente limitata per contenere i rischi attraverso il rispetto della distanza fra le persone. Ma quanti vorranno andare effettivamente allo stadio? Secondo un sondaggio di un paio di settimane fa, negli Usa più di sette persone su dieci hanno dichiarato che non torneranno allo stadio finché non si troverà un vaccino per il coronavirus.
Premesso che sarebbe più logico avere come orizzonte l’individuazione di un farmaco che possa curare la malattia, visto che il vaccino potrebbe non essere mai scoperto (non c’è ancora per l’AIDS, per esempio, ma questo non ci ha impedito di andare in curva), la paura è destinata ad essere un fattore.
Contrastarla, senza negarla o sottovalutarla, richiede interventi, e dunque investimenti, da parte delle società. Si possono applicare distributori di gel per la sanitizzazione agli ingressi e in tutti i bagni, scanner termici per controllare la temperatura di chi entra, distribuire guanti come condizione necessaria per accedere agli stand che vendono bibite e panini.
Non sono da escludere, poi, forme di controllo degli accessi attraverso sensori in grado di leggere codici e informazioni dallo schermo degli smartphone, e dunque una maggiore virtualizzazione di biglietti e abbonamenti. Il tifoso, intanto, dovrà abituarsi a file più lunghe per gli ingressi.
Si può facilmente ipotizzare che cambieranno anche le procedure per l’ingresso allo stadio, e almeno parzialmente le condizioni imposte dalle società per entrare in curva o in tribuna. Difficile per esempio che, almeno nei primi mesi dopo la riapertura degli impianti, gli steward effettueranno le rapide perquisizioni toccando le borse e le tasche per verificare l’assenza di oggetti proibiti.
Soprattutto, c’è da considerare l’obbligo di indossare le mascherine, che dovrebbe rimanere in vigore anche alla fine della quarantena. Se così effettivamente sarà, se dunque si potrà andare allo stadio solo con la mascherina, bisognerà aggiungere un’eccezione alle norme attuali che vietano di entrare negli impianti con accessori finalizzati al mascheramento del viso. Dal punto di vista della sicurezza, questo potrebbe indurre le società a vietare rigorosamente il cambio del nominativo sul biglietto.
La presumibile riduzione della capienza, poi, avrà delle conseguenze sugli abbonati soprattutto in settori a maggiore densità come le curve. Se bisogna occupare, per esempio, un seggiolino ogni due, circa la metà degli abbonati non potrà occupare il posto per cui ha pagato l’abbonamento. Ma nei termini e condizioni d’uso di biglietti e abbonamenti delle società, si fa già espresso riferimento alla possibilità di vedersi assegnato un posto diverso per per giustificati motivi organizzativi, di forza maggiore, per caso fortuito, di ordine pubblico, di sicurezza, per disposizioni di autorità pubbliche o sportive. La causa di forza maggiore, in questo caso, non sarebbe contestabile.
Dunque, quando gli stadi di calcio riapriranno, cambierà in maniera più o meno temporanea anche la geografia del tifo organizzato. E le società avranno di fronte due strade da percorrere insieme.
Da un lato, ci si può aspettare l’introduzione o la maggiore implementazione di politiche pro-tifosi. Giocare in uno stadio vuoto non piace a nessuno, per cui è lecito supporre che i biglietti costeranno meno, che ci saranno più promozioni speciali e vantaggi per incentivare gli spettatori: sconti per i trasporti pubblici o per il parcheggio, per esempio.
Dall’altro, la quarantena sembra aver accelerato alcune tendenze destinate a trasformare lo sport in un prodotto da intrattenimento televisivo. Quindi il coinvolgimento emotivo dei tifosi passerà anche per la fornitura di contenuti ancora più mirati sui canali ufficiali dei club e sui profili social. Questo periodo ha anche messo in evidenza il grande potere, in termini di appeal, dei calciatori. Le dirette streaming con Dybala e Del Piero, Lukaku e Adriano, Ronaldo e il presidente della FIFA Infantino, spostano l’asse del rapporto con i fan. L’effetto superstar, l’attrazione per i grandi campioni, non motiva solo i comportamenti di chi guarda la partita. Muove l’attenzione, orienta l’emozione anche quando non si gioca. La centralità dei calciatori potrebbe spostare gli equilibri nei loro rapporti con le società al momento di discutere i contratti, e mettere i club, e dunque le leghe, in posizione di forza rispetto alle federazioni nell’indirizzo complessivo del calcio.
Di conseguenza, anche il modo di seguire il calcio potrebbe cambiare. Al tifo per la propria squadra, si aggiungeranno più livelli. Ci sarà una maggiore partecipazione emotiva per le superstar e insieme il piacere per il calcio in quanto tale, per il gioco, per l’evento che rappresenta la luce alla fine del tunnel. La grande sfida, per le società, è riuscire a tenere insieme una fanbase che obbedisce a leggi di attrazione così diverse fra loro. Il futuro del calcio passa anche da qui.
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