Sampdoria, Gabbiadini e il Coronavirus: l’attaccante contagiato si racconta

Sampdoria, Gabbiadini e il Coronavirus: l'attaccante contagiato si racconta
Sampdoria, Gabbiadini e il Coronavirus: l’attaccante contagiato si racconta

L’attaccante della Sampdoria Manolo Gabbiadini è stato tra i primi calciatori di Serie A ad essere contagiati dal Coronavirus. Lui, bergamasco di nascita, vive con forte apprensione il dramma che la sua terra sta vivendo in questi giorni. Il contagio in prima persona, e non solo: il pensiero rivolto ad amici e parenti in difficoltà. L’attaccante si è raccontato oggi in un’intervista alla Gazzetta dello Sport, dove ha spiegato cosa vuol dire essere contagiati: “Ho avuto un po’ di febbre martedì 10, di sera. Non ho pensato al Coronavirus. Quella notte ho dormito male, mi sono svegliato spesso. Al mattino mi girava la testa, ma avevo solo 37.5. Ho chiesto un parere al medico della Sampdoria, ma nessuno aveva pensato al virus. Però mia moglie mi ha suggerito di provare col tampone. L’ho fatto ed è uscito l’esito. Però il giovedì stavo già meglio, mi era passato tutto”.

Sampdoria, Gabbiadini e il Coronavirus: l'attaccante contagiato si racconta
Sampdoria, Gabbiadini e il Coronavirus: l’attaccante contagiato si racconta

Gabbiadini: “Non pensiamo al calcio. I campioni adesso sono i medici”

Gabbiadini racconta la sua reazione: “Pensavo stesse scherzando, ma non era così. Non pensavo che la febbre potesse passare così presto. Per fortuna, averlo saputo in tempo mi ha impedito di uscire e di diffondere il contagio inconsapevolmente. Ci sono tante persone positive che nemmeno lo sanno: per questo il virus si diffonde così facilmente. Penso che si sarebbe dovuto chiudere tutto subito, e non dopo alcuni giorni”. Gabbiadini sottolinea come, per lui, si sia sottovalutato il problema: “Tutti lo abbiamo un po’ sottovalutato. Ma era difficile prevedere un’epidemia così grave. Per noi calciatori il problema è maggiore, perché non facciamo altro che spostarci e viaggiare. Stoppare il campionato è stata la decisione più giusta, non è stato facile ma alla fine ce l’hanno fatta. Ora ci vorrà tempo: bisogna pensare ai veri campioni, e non al calcio. Parlo dei medici e degli infermieri, di chi lotta per questa guerra”.

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