Quando i bambini e i ragazzi entrano sui campi del Middelfart Boldklub, la squadra di una ricca cittadina danese, passano attraverso la parete della clubhouse con le maglie firmate dal calciatore più famoso ad aver giocato da quelle parti, la nuova stella dell’Inter Christian Eriksen. Nel 2018 un giornalista del Guardian ha incontrato il presidente Claus Hansen, che da giovane aveva giocato con il padre di Christian, Thomas Eriksen. Già da piccolo, ha detto, “si capiva che Christian era speciale. Era più forte di tutti gli altri bambini, ma si preoccupava per loro. E’ sempre stato educato e amichevole, come adesso“.
Con lui, il Middlefart ha chiuso al quinto posto il campionato nazionale under 12. Eriksen passa l’anno successivo all’Odense. Il viaggio è breve, la città dista una trentina di chilometri da Middlefart. Eriksen mostra già le qualità che ne fanno oggi uno dei centrocampisti più ammirati d’Europa. “Tecnicamente, è il miglior giocatore che abbia mai visto” ha detto al Guardian Anders Skjoldemose, che all’epoca era il responsabile del settore giovanile, “ma era anche il migliore di tutti quando si trattava di giocare per la squadra”. Viene più volte invitato per dei provini all’estero: a 14, 15, 16 anni, va ad allenarsi con i ragazzi del Milan o del Chelsea, in questo caso insieme a Rasmus Falk, grande amico e compagno di squadra nelle giovanili dell’Odense. “Siamo andati con le giovanili del Chelsea, ci siamo allenati con loro. E’ stato incredibile. Ma Christian sapeva che avrebbe avuto altre occasioni. Lui voleva andare a giocare all’estero“.
Non ci vuole molto perché realizzi quel primo sogno. Eriksen, che all’Odense si allena per sviluppare quei suoi tipici calci di punizione che atterrano morbidi e letali nell’angolino, a 16 anni viene ingaggiato dall’Ajax. In Danimarca, è difficile che i giovani vengano fatti giocare in prima squadra. L’Ajax, invece, ha una tradizione ben diversa, ha promosso tanti ragazzi danesi e poi Amstersam è distante cinque o sei ore d’auto.
La sua carriera prende velocità alla fine del 2009. Morten Olsen, il ct della nazionale, lo osserva durante un’amichevole dell’under 17 contro la Francia. Non può credere ai suoi occhi. Quattro mesi dopo, a 18 anni appena compiuti, lo fa debuttare in prima squadra: è il terzo esordiente più giovane della storia della Danimarca dopo Harald Nielsen e Michael Laudrup, una leggenda a cui sarà associato spesso. Nell’estate del 2010, Olsen lo convoca per i Mondiali: è il più giovane di tutti i presenti in Sudafrica.
Nel frattempo, a gennaio di quel 2010, meno di un mese prima di compiere 18 anni, ha debuttato anche in prima squadra con l’Ajax. E’ il 17 gennaio, Martin Jol lo promuove sul campo del NAC Breda: la partita finirà 1-1. “Consideriamo Christian un prodotto della nostra accademia, anche se quando è arrivato ha iniziato subito con la squadra under 18. Abbiamo speso molto per un talento della sua età, ma le sue qualità si stanno già vedendo” diceva allora Martin Jol, come riportava il sito dell’Uefa. “E’ un giocatore che si inserisce nella stessa tradizione di Rafael van der Vaart o Wesley Sneijder. Potrà diventare molto diventare molto forte, o addirittura in grande“. Per l’allenatore delle giovanili di allora, Frank De Boer, il diciottenne Eriksen promette di diventare “uno dei migliori numeri 10 nella storia dell’Ajax”.
La mia ambizione, racconta al sito della FIFA nel 2012 prima del campionato europeo, “è che un giorno non si parli di un nuovo Michael Laudrup, ma di un nuovo Christian Eriksen. Voglio offrire prestazioni abbastanza valide da essere notate in modo da farmi un nome“. Un anno dopo lascia l’Ajax dopo 162 presenze, 32 gol e 66 assist in tutte le competizioni, passa al Tottenham e verrà eletto calciatore danese dell’anno.
Supererà i 50 gol con la maglia degli Spurs, diventando il punto di forza della squadra nella gestione di Mauricio Pochettino che lo chiama “il nostro Special One, l’uomo che fa girare il mio Tottenham. Ha reso la squadra migliore, crea gioco e tiene insieme la manovra” diceva al termine della stagione 2017-18.
C’è un aspetto, nel carattere di Eriksen, che piace particolarmente al tecnico argentino: non cerca attenzione, non ha bisogno di riconoscimenti. Lo spiega bene in una lunga intervista per la testata danese Euroman nel 2018. “Non sono uno che si mette a gridare, che chiede di essere notato. Non mi interessa prendermi meriti per un assist o per un gol. Certo, è importante avere la riconoscenza dell’allenatore e della squadra per cui giochi, ma è qualcosa che ti devi meritare. Credo di aver fatto la mia parte al Tottenham. E’ bello sentire che anche i tifosi mi apprezzano e cantano un coro per me“.
Anche dal punto di vista del rapporto umano con i suoi allenatori, Eriksen racconta che non è il tipo a cui serve sentire la mano dell’allenatore sulla spalla tutto il tempo. E questo ha reso ancora più efficace il suo legame con Pochettino. “Lui sa che io devo solo andare in campo, e mi lascia giocare a calcio. Poi è chiaro, è la Premier League, abbiamo tutti compiti difensivi. Ma quando abbiamo noi la palla, allora sono libero si cercarmi spazi e creare. Con Pochettino, comunque, sono diventato più aggressivo, più brillante nel leggere il gioco: con lui devi pensare più velocemente“. Più di giocare in una delle squadre più rinomate al mondo, gli interessa trovarsi bene in gruppo. “Se giochi dove ti senti bene, giochi anche meglio. Almeno per me è così” aggiungeva nella stessa intervista.
Vale anche per la sua famiglia. Abita in una casa grande, certo, ma senza gli sfarzi ostentati di altre star del pallone. Non si è fatto costruire una villa alla George Best, ha regalato un’auto sportiva a suo padre, continua ad essere felicemente fidanzato con la stessa ragazza dal 2012, Sabrina, che ha conosciuto in Danimarca dove lavorava come parrucchiera. Sabrina, da cui ha avuto un figlio nel giugno 2018, ha lasciato il suo impiego per seguirlo in Inghilterra dove è diventata molto amica della moglie di Harry Kane.
La sua famiglia mantiene una certa discrezione, in un’intervista i genitori hanno raccontato che non vogliono nemmeno approfittare troppo dei milioni che Christian guadagna da calciatore. Christian non vorrebbe diventare come suo padre, se suo figlio dovesse iniziare a giocare a calcio. Non vorrebbe, dunque, essere come quei genitori che alle partite dei figli urlano e sbraitano per incoraggiarli.
Un’altra persona ha individuato una via particolare per stimolarlo e tirargli fuori il meglio: il ct della Danimarca Morten Olsen che dopo una partita di qualificazione per Euro 2016 persa contro il Portogallo, lo critica pubblicamente. Gli dice che non è capace di controllare le partite, che in nazionale non si gioca come nell’Ajax. “Normalmente, sono discorsi che farei al chiuso dello spogliatoio, ma sapevo che poteva reggere. Dovevo battere su un’altra corda con lui, per come lo conoscevo come persona e come giocatore” ha detto Olsen. Nelle successive 20 partite in nazionale, Eriksen segnerà 15 gol, compresa la tripletta all’Irlanda, a Dublino, nel playoff che vale la qualificazione al Mondiale di Russia del 2018.
Eppure, ha spiegato suo padre, “non c’è nessuno che sia più rilassato di Christian a proposito del suo successo. Certo, è felice se gioca bene, ma essere sotto i riflettori non gli interessa. La sua gioia è giocare a pallone. Agli occhi miei e di sua madre, è sempre il nostro Christian, sempre la stessa persona“. Una persona che anche l’Inter imparerà ad apprezzare. Anche se la sua passione per l’Italia, nata anche per i frequenti viaggi della famiglia, ha avuto soprattutto a che fare con un’altra squadra, raccontava nel 2017 il suo amico Rasmus Falk al sito danese BT. “Allora voleva giocare nella Roma – spiegava – con il suo idolo Francesco Totti“.
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