Nelle prime 50 partite della sua gestione in Premier League all’Aersenal, Unai Emery ha ottenuto 87 punti. Wenger, nelle ultime 50 del suo regno che ha rivoluzionato la storia dei Gunners, ne aveva raccolti 88. La pressione sul tecnico spagnolo è aumentata dopo la sconfitta in casa del Leicester che si rilancia come inatteso protagonista tra Liverpool e Manchester City nella corsa al titolo in Premier League.
Si riaffaccia all’orizzonte il nome di Jose Mourinho. Sarebbe un’iniezione di pragmatismo un tempo feroce, via via evaporato nel ricordo rancoroso del passato che fu, in una lontananza subita nella periodica ricerca di uno sprazzo di visibilità. L’Arsenal ha smentito una settimana fa di aver incontrato il fu Special One, che speciale si rivelò davvero al Porto, all’Inter e nella prima gestione al Chelsea.
Come scrive Barney Ronay nel suo blog sul Guardian, un tempo nemmeno troppo lontano tutto quanto si diceva e si conosceva di Mourinho ruotava intorno a un concetto: fa vincere le squadre che allena. E a onore del portoghese, va detto che succedeva di frequente, nei campionati nazionali e in Europa. Non si trattava certo di una fama millantata.
Oggi, per la nuova ortodossia, Mourinho è “plutonio puro, un agente di distruzione interna talmente violento che stargli semplicemente vicino può dissolverti il fegato” scrive. L’immagine dei suoi sfoghi contro allenatori, giornalisti, contro i presidenti delle squadre che ha allenato, hanno finito per creare uno stereotipo altrettanto bi-dimensionale dell’icona vincente dello Special One e altrettanto insufficiente a spiegarne l’evoluzione.
Mourinho, che ha comunque vinto due trofei compresa l’Europa League nella sua ultima esperienza al Manchester United, è diventato un allenatore-opinionista, perfetto per gli studi delle televisioni, capace da sempre di intuizioni verbali fulminanti.
Eppure i suoi giocatori l’hanno spesso celebrato e altrettanto spesso rimpianto. “Con Mourinho ho vissuto un’esperienza super” ha detto Zlatan Ibrahimovic a proposito dell’unica stagione in cui ha lavorato con Mourinho all’Inter. C’è il Mourinho per i media e il Mourinho amico e padre, ha detto Oriali che li ha conosciuti entrambi. Il secondo, assicura, è speciale.
Mourinho, il più amato dai giornalisti, dice solo quel che vuole sia ascoltato. Come Herrera, si mostra per nascondere, ha il machiavellismo che per molti rappresenta il tratto dei vincenti. Non vuole divertire in campo, non cerca il ricamo ma la vittoria a tutti i costi. Ha l’aria del leader nel senso profondo di Henry Miller, a cui basta indicare la strada, “del condottiero, del duce, del capitano di ventura, di John Wayne ma solo quando vincono i soldati blu” come ha scritto Gianni Mura. Il suo orientare la conversazione intorno alla ricerca del nemico, il suo cancellare le sfumature per un radicale schieramento, o con me o contro di me, l’ha posto in antitesi totale con lo stile inclusivo di Wenger e del suo Arsenal dal calcio forse un po’ troppo danzato per avere successo.
Nel 2005 lo Special One definì il francese un guardone. “Mourinho è fuori controllo. Quando dai il successo a gente stupida, diventa solo più stupida, non più intelligente” ha risposto Wenger. Le provocazioni, le discussioni hanno raggiunto il livello di guardia nel 2014: Mou invade l’area tecnica di Wenger, il francese lo spintona. “Se lo incontro fuori dal campo gli spacco la faccia” disse Mourinho in privato, come poi rivelato nel libro “Up close and personal” scritto dal giornalista Rob Paisley.
La rivelazione anticipa, e rovina, la festa di Wenger per i suoi vent’anni di gestione all’Arsenal. Il portoghese definì il rivale “uno “specialista in fallimenti” ma prima dell’ultimo scontro ha cambiato toni e direzione. “Sono successe delle piccole cose, dei gesti, delle parole, che sarebbe stato meglio non fossero accadute. C’è rammarico per qualche piccolo episodio negativo e credo valga lo stesso anche per Arsène” . Credo sempre che i più grandi avversari sono i nostri più grandi amici perché sono quelli che ci spingono al limite”.
Portare all’Arsenal il “grande nemico” Mourinho vorrebbe dire rinnegare il senso profondo della gestione Wenger, della rivoluzione che con il francese il club ha impostato e che ha il suo simbolo nell’Emirates Stadium, un’isola di cosmopolitismo benpensante. Vorrebbe dire tornare agli anni Ottanta, quando il vecchio Highbury era “l’Isola del Diavolo nel bel mezzo di Londra nord, la patria dei farabutti e dei miscredenti” che raccontava il tifoso doc Nick Hornby in Febbre a 90°. L‘Arsenal tornerebbe ad essere una squadra che non ispira affetto o ammirazione, ad attirare antipatie quotidiane. I tifosi, il club, sono pronti a invertire il corso della storia per qualche trofeo in più in bacheca?
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