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Fughe per la libertà: il calcio oltre il Muro di Berlino

Fughe per la libertà: il calcio oltre il Muro di Berlino

“We could be heroes, just for one day” cantava David Bowie. Ha scritto quella canzone a Berlino, guardando una coppia di innamorati che si dava appuntamento su una panchina di fronte al Muro di Berlino, il muro della vergogna. L’hanno costruito di notte, il 13 agosto del 1961. “Il confine tra Berlino est e Berlino ovest è stato chiuso questa notte…. Autocarri carichi di truppe della Rdt sono stati visti prendere posizione lungo la linea di confine presso la Porta di Brandeburgo”. Cadrà solo il 9 novembre 1989, una notte di libertà che ai tedeschi dell’est sembra non dover finire mai. In quei 28 anni di prigionia travestita da libertà vigilata, diversi calciatori proveranno a scappare dall’altra parte del Muro, verso Ovest, verso la libertà: storie che possiamo ricostruire anche grazie anche al fondamentale libro di Roberto Brambilla, “C’era una volta l’est” (edizioni In Contropiede).

Starost e Poliktar, i primi fuggitivi oltre il Muro di Berlino

I primi che fuggono, la sera stessa in cui inizia la costruzione di quella frontiera protetta all’inizio da tre chilometri di cemento e cavalli di frisia, sono Rolf Starost e Emil Poliktar, che è nato in Romania; è arrivato a Berlino scappando dai sovietici attraverso la Cecoslovacchia e la Polonia. In quel 1961 lui e Starost giocano per la Dinamo Berlino, la squadra della Stasi, la potentissima e pervasiva polizia segreta della Germania Est. Sono impegnati in un’amichevole in Danimarca contro il Boldklubben 93. Dopo la partita, un gruppo di compagni di squadra oscura la vista degli uomini della Stasi e riescono a scappare dal finestrino, arrivare in autostop al porto di Copenhagen e da lì imbarcarsi su un traghetto per Amburgo. Poliktar si unisce alla moglie, già scappata con un passaporto falso. Diventerà un’icona del Saarbrucken dove si guadagnerà il soprannome di “balena bianca”: in campo, diranno i portieri avversari, puoi anche non vederlo per quasi 90 minuti ma quando appare in area è letale.

Starosti e Poliktar inaugurano la tendenza a lasciare la Germania Est sfruttando le trasferte all’estero. Percorrono la stessa strada “Michael Polywka del Carl Zeiss Jena (e) i nazionali Under 21 Jürgen Pahl e Norbert Nachtweih, fuggiti in Turchia dopo un’amichevole” ricorda Brambilla, “ma soprattutto lo farà uno dei talenti più cristallini della Ddr, Lutz Eigendorf“, un mistero nel cuore della Germania Est che vi raccontiamo nella seconda parte di questo speciale.

La fuga di Schlegel e Gotz dall’altra parte del Muro

Eigendorf muore alle 21.15 del 7 marzo 1993 formalmente in un incidente d’auto, ma documenti della Stasi farebbero pensare a un incidente provocato dagli stessi agenti che l’avrebbero abbagliato in curva per farlo sbandare. La punizione esemplare per un “tradimento” da punire.

Pochi mesi dopo Falko Götz e Dirk Schlegel, due giovani della Dinamo Berlino, mettono in piano un piano semplice e coraggioso per fuggire verso l’Ovest. Sono amici da sempre, sono calciatori promettenti osservati molto da vicino quando giocano in trasferta con la Dinamo nelle Coppe Europee. Si dice che un cittadino ogni 63 della Germania Est fosse dipendente, informatore o collaboratore della Stasi guidata da Erich Mielke, che aveva perfezionato un sistema basato sulla paranoia pervasiva ed era anche presidente onorario del club. La Stasi non si fida dei due: una parte della famiglia di Gotz vive in Germania Ovest, Schlegel ha una zia in Inghilterra. Nell’estate del 1983, maturano l’idea di scappare durante una delle trasferte per la Coppa dei Campioni 1983-84.

L’accoppiamento del primo turno, contro i modesti lussemburghesi del Jeunesse Esch è favorevole: i due hanno anche un amico emigrato legalmente che vive al confine con il Lussemburgo. Ma nella trasferta la squadra è osservata a vista, viaggia perfino sull’aereo privato di Mielke. La Dinamo passa agevolmente il turno, così Gotz e Schlegel hanno una seconda possibilità contro il Partizan di Belgrado, i campioni di Jugoslavia. A mezzogiorno del giorno della partita, il team concede ai calciatori un’ora libera. Gotz e Schlegel sul pullman non si parlano ma sanno che quello è il momento. Vanno di corsa all’ambasciata della Germania Ovest a Belgrado. Componenti dello staff li nascondono in macchina e li accompagnano al consolato a Zagabria, ricevono falsi documenti della Germania Ovest e messi su un treno da Ljubljana per Monaco di Baviera. Vengono istruiti su cosa dire se dovessero essere fermati: sono due turisti tedeschi di ritorno da una vacanza in cui hanno perso il loro passaporto e ne hanno richiesto uno nuovo. Il piano funziona. Giocheranno entrambi nel Bayer Leverkusen: Shlegel fino al 1985, Gotz fino al 1988 vincendo anche la Coppa Uefa.

Fughe per la libertà: il calcio oltre il Muro di Berlino

Oltre il Muro di Berlino: fugge anche l’icona Sparwasser

Nel 1986 scappa Frank Lippmann. Nell’estate del 1987, ventuno mesi prima delle picconate che faranno cadere il Muro di Berlino, fugge un simbolo del calcio della Germania Est, Jurgen Sparwasser. E’ lui che ha deciso il Bruder-Duell, l’unico confronto nelle fasi finali della Coppa del Mondo tra le due Germanie, ad Amburgo nel 1974. Con quel gol che allora guadagnava quanto un professore delle scuole medie in Italia, la Germania Est ha battuto i fratelli dell’Ovest. Sparwassser, che significa “colui che risparmia l’acqua”, diventa un simbolo di riscatto nazionale. A fine partita ha scambiato la maglia con Paul Breitner, terzino di simpatie comuniste che poi sarebbe passato al Real Madrid. Nel 2002, dopo la grande alluvione, Breitner l’ha messa all’asta per aiutare le vittime; Sparwasser ha fatto lo stesso. Le due maglie sono state acquistate per trentacinquemila euro e donate alla Casa della Storia di Bonn.

Fughe per la libertà: il calcio oltre il Muro di Berlino

Quando decide di saltare la barricata e passare in Occidente, insegna pedagogia all’Università di Magdeburgo. Il regime gli ha imposto di allenare la squadra ma lui ha rifiutato. Per questo rischia anche di perdere la cattedra. Viene invitato a una partita di vecchie glorie nella Repubblica Federale e sua moglie, dopo tre rifiuti, ottiene il visto per andare in Occidente a seguire la partita. Approfittando del poco controllo della Stasi, la
coppia non torna più indietro.

Da quel momento Sparwasser ha vissuto vicino Francoforte, l’Eintracht gli ha offerto un posto da allenatore, è diventato anche presidente del sindacato calciatori. La caduta del muro scatena speranze presto disilluse. “Mi aspettavo qualcosa di più per l’Est. È stato distrutto, per soldi, tutto quanto era Ddr, senza salvare la parte buona come l’educazione scolastica e sportiva, la solidarietà sociale. Volevamo la libertà e la meritavamo: non so se tutti oggi siano veramente felici” diceva, come riporta un articolo della Gazzetta dello Sport del 2009. L’hanno anche chiamato traditore, ma l’accusa non ha cancellato l’effetto del suo gol. “Sulla mia tomba scriveranno soltanto: stadio di Amburgo, 22 giugno 1974 – ha detto -, capiranno chi sono”.

Il calcio oltre il Muro di Berlino, gli ultimi fuggitivi

Nel 1989, subito prima della caduta del Muro, fugge Gerd Weber che dal 1975 è un IM, un “Inoffizielle Mitarbeiter”: un collaboratore non ufficiale della Stasi che ha reclutato per decenni a questo scopo atleti, preparatori, giornalisti, scienziati dello sport. Tra loro c’era anche Georg Buschner, il commissario tecnico della Germania Est ai Mondiali del 1974. Weber aveva già provato a scappare nel 1981, ma era scoperto, arrestato e tenuto in carcere per sette anni.

L’ultimo a scappare è Matthias Morack, 27enne del Vorwärts, la squadra di di Francoforte dull’Oder. Scappa sul confine ormai aperto con la Cecoslovacchia. E’ il 7 novembre 1989. Due giorni dopo, per tutta la notte, a Berlino si griderà “Die Mauer ist weg“, “il Muro non c’è più”.

LEGGI ANCHE – > Il calcio oltre il Muro di Berlino: la morte del “traditore” Eigendorf

Alessandro Mastroluca

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Alessandro Mastroluca

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