Razzismo nel calcio, un problema più grande di Verona e Balotelli: dove intervenire?

Razzismo nel calcio, un problema più grande di Verona e Balotelli: dove intervenire?
Razzismo nel calcio, un problema più grande di Verona e Balotelli: dove intervenire?

Dopo gli insulti razzisti a Balotelli durante Verona-Brescia, il tecnico e il presidente dei gialloblù hanno minimizzato fino a negare l’episodio. «Non abbiamo sentito cori razzisti, solo sfottò» il messaggio. Come non si erano sentiti i cori contro lo juventino Kean a Cagliari nello scorso campionato.

“State insinuando situazioni storiche e sociali più grandi di voi, piccoli esseri. Però quando Mario faceva e vi garantisco farà ancora gol per l’Italia vi sta bene, vero?” ha scritto Mario Balotelli su Instagram, anche in risposta al capo ultras del Verona, Luca Castellini, convinto che Balotelli non possa considerarsi del tutto italiano. Una risposta indiretta anche a chi scriveva, durante una partita della nazionale azzurra, che “il mio capitano ha sangue italiano”.

Razzismo, la questione va oltre Balotelli e il Verona

La curva Sud del Verona, che negli anni Novanta ha attirato militanti delle principali formazioni di estrema destra in città come ha scritto Giulia Siviero de Il Post, si è resa protagonista di diversi episodi di intolleranza. Per esempio nel 1996, dopo l’annuncio dell’imminente acquisto di Maickel Ferrier, primo calciatore di colore nella storia del club, hanno esposto uno striscione: «Il negro ve lo hanno regalato, fategli pulire lo stadio». Completa il quadro un manichino nero con la maglia del Verona e un cappio al collo: Ferrier non arriverà.

Ma la questione non riguarda certo solo la tifoseria del Verona, né si può circoscrivere ai soli stadi di calcio. Il calcio è al massimo un catalizzatore, un moltiplicatore, perché lo stadio è considerato come una sorta di zona franca per le curve, perché il potere dell’aggregazione di gruppo e la protezione dell’anonimato spingono la rivalità oltre i confini della xenofobia.

Il calcio, ha scritto il filosofo francese Paul Yonnet, resta “lo sport nel quale il fenomeno di identificazione è più sviluppato, tangibile, costante e organizzato”. Il rapporto “Colour?” dell’Unesco, un documento del 2015 disponibile sul sito della Juventus, ricorda le posizioni di Christian Bromberger che fa riferimento alla “normale demonizzazione dell’avversario”, a una logica di opposizione che richiede un sempre più alto livello di denigrazione dell’altro.

“La partigianeria talvolta eccessiva che si può osservare durante le partite di calcio è un corollario di questi processi carichi di emotività volti alla costruzione del gruppo” si legge nel rapporto. “In breve: l’ostilità crea l’autostima e la solidarietà collettiva”.

Discriminazione territoriale e “razzismo senza razzisti”

Non ci sono cori razzisti, che non sono i semplici fischi o i semplici “buuh” all’attaccante più temuto o al portiere avversario: nessun attaccante, nessun campione bianco viene fatto oggetto di versi di scimmia. In Italia le forme di trasgressione verbale hanno assunto anche un’altra forma, quella della “discriminazione territoriale”, gli insulti xenofobi fra tifoserie del Nord o del Sud.

“L’idea che il campanilismo, il quale racchiude una forma secolare di orgoglio e rivalità locale fra città e regioni, sia semplicemente parte dell’eredità culturale italiana e pertanto non dissociabile dal calcio è condivisa in modo praticamente unanime, anche da coloro che lo avversano” si legge nel rapporto dell’Unesco.

In nazioni come l’Inghilterra, dove le società come il Chelsea o il West Ham hanno mostrato molta più fermezza nell’allontanare propri tifosi colpevoli di comportamenti razzisti senza cercare di giustificare o minimizzare, questo tipo di atteggiamenti è fortemente stigmatizzato a livello sociale, in tutti i campi.

Razzismo nel calcio, un problema più grande di Verona e Balotelli: dove intervenire?

Le difficoltà di agire contro i fenomeni discriminatori negli stadi cominciano proprio da questo aspetto culturale. Lo spiega bene Ben Carrington, professore di sociologia e giornalismo all’Università della Southern California, intervistato a febbraio per il portale statunitense SBNation.

“Il punto di partenza è che si nega l’esistenza del razzismo ha detto, “e quando le sue manifestazioni sono troppo visibili allora gli si dà un altro significato. Raramente ci si prende le proprie colpe: è il “razzismo senza razzisti” come dice Eduardo Bonilla-Silva”. Carrington fa riferimento alla decisione della commissione indipendente che nel 2011 ha giudicato i comportamenti razzisti di Luis Suarez contro Patrice Evra.

“La commissione ha deciso che i comportamenti erano razzisti, ma Suarez non era un razzista” ha ricordato Carrington. In altri casi chi denuncia rischia di essere accusato di essere razzista, perché vede un intento discriminatorio anche dove non c’è. Un totale, inspiegabile paradosso che però spiega perché sia spesso difficile andare oltre le dichiarazioni di facciata e impegnarsi a livello educativo per migliorare lo scenario.

FIGC, il nuovo regolamento per sospendere le partite

La FIGC, dopo Inter-Napoli di Santo Stefano 2018 che ha portato alla chiusura dello stadio dell’Inter per due giornate per gli insulti a Koulibaly, ha modificato il regolamento e previsto una procedura accelerata per l’interruzione ed eventualmente la sospensione delle partite con una serie di modifiche all’articolo 62 delle norme Figc. La decisione deve partire dal responsabile dell’ordine pubblico nello stadio che informa l’arbitro il quale gestisce la fase di sospensione del match, anche mandando le squadre negli spogliatoi. Superati i 45 minuti di sospensione, dichiara interrotto il match. La squadra ritenuta responsabile subirà una sconfitta a tavolino.

Alla sospensione definitiva, che Ancelotti aveva invocato dopo Inter-Napoli, non si è arrivati. Anche se nel novembre 2018, scriveva Massimiliano Castellani su Avvenire, è stata fermata “una partita del campionato esordienti del Veneto, Pegolotte-Cartura”, sospesa prima del terzo tempo “per i reiterati insulti razzisti da parte dei genitori degli ospiti contro un ragazzino del Pegolotte. Il Cartura ha vinto sul campo ma il giudice sportivo ha tenuto conto della sospensione dell’arbitro (un dirigente del club di casa, come accade in queste categorie) e ha decretato il 3-0 a tavolino ai danni degli ospiti più una multa di 50 euro”.

Resta per le società la responsabilità oggettiva. I club però possono non rispondere degli atti dei loro tifosi se si adoperano immediatamente per far cessare i cori, se gli altri tifosi mostrano di dissociarsi nel corso della partita (è successo all’Olimpico durante l’ultimo Roma-Napoli), se vengono messi in atto adeguati modelli di prevenzione.

Razzismo nel calcio, un problema più grande di Verona e Balotelli: dove intervenire?

Juve e Roma danno il buon esempio

Qualcosa si sta muovendo. La scorsa primavera, la Juventus ha fornito le prove per identificare chi aveva fatto il gesto dell’aeroplano, omaggio lugubre alla tragedia di Superga, contro il Torino, e ha deciso di bannarlo dal suo stadio. La Sampdoria ha fatto lo stesso, la Roma, che è la società italiana da questo punto di vista più vicina agli esempi inglesi, ha punito a vita uno dei suoi tifosi che sui social aveva espresso commenti di stampo razzista contro Juan Jesus.

E’ un inizio. L’ORAC (Osservatorio del razzismo nel calcio) nel quinquennio 2011-2016 aveva raccolto quasi 250 casi di razzismo negli stadi.

Negli ultimi anni, il fenomeno appariva sopito. “Siamo in una fase di dibattito zero” diceva ad avvenire il direttore Mauro Valeri. Nell’estate 2018, “quando il procuratore della Repubblica di Torino, Armando Spataro aveva denunciato “l’aumento del razzismo in Italia” non c’è stata nessuna reazione da parte degli organi sportivi e sappiamo benissimo, perché è provato, che il razzismo di tipo sociale si ripercuote soprattutto all’ interno degli stadi di calcio. Eppure la Figc sull’ argomento non ha detto nulla. Bocche cucite e giacche abbottonate”.

In Italia aumentano le aggressioni d’odio

In Italia non si sono visti interventi pubblici e prese di posizione come quella di Hristo Stoichkov, forse il più forte calciatore bulgaro di tutti i tempi. Dopo quanto successo durante Bulgaria-Inghilterra, più volte sospesa per razzismo, ha chiesto che la sua nazionale venga esclusa da tutte le competizioni.

L’aspetto normativo in Italia si scontra da un lato con la minore presenza di organizzazioni dal basso che possano sensibilizzare sul tema come l’inglese Kick It Out fondata in Inghilterra dalla Commissione per l’uguaglianza razziale e dalla PFA (Professional Football Association), sovvenzionata anche dalla Premier League.

Ma soprattutto si scontra con un’intolleranza diffusa fuori dagli stadi, con l’aumento dei crimini d’odio che dal 2017 al 2018 sono passati da 92 a 360, secondo i dati forniti a Euronews da OSCAD, l’osservatorio ufficiale inquadrato nella struttura del Ministero dell’Interno.

Gianni Infantino, presidente della FIFA, ha proposto un Daspo mondiale che tenga lontano da qualsiasi stadio del mondo chiunque si macchi di atteggiamenti razzisti. Sarebbe un passo avanti, a cui si dovrebbe dar seguito con una maggiore responsabilizzazione delle società. Perché ha ragione Balotelli, razzismo è ignoranza. E questa non si cura solo con le leggi.

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