Un numero 8, ha scritto su Instagram, è solo un infinito che ha alzato lo sguardo. Quando alzerà il suo, Claudio Marchisio non vedrà più scarpini e grandi prati verdi. Bandiera della Juventus fino al 2018, il centrocampista ha infatti lasciato il calcio giocato. Ha scelto per annunciarlo la sua casa, lo stadio della Juve dove ha vinto sette scudetti, un campionato di Serie B, tre Supercoppe italiane e quattro Coppe Italia consecutive. Quella Torino dove ha sposato Roberta Sinopoli l’8 giugno del 2008 e ha costruito il primo pezzo del suo futuro oltre il calcio, il primo dei tre ristoranti “Legami” specializzati in cucina asiatica. Il primo l’ha aperto a Vinovo, gli altri due a San Pietroburgo e Roma.
Marchisio ha un’eleganza sabauda, schiva e sobria, profonda e garbata. Da quando ha sette anni, le strisce bianconere diventano il marchio di un’identità, la costante ferma nel tempo e cambia i colori della storia. Sono i suoi unici colori, a parte una stagione a Empoli nel 2007-08.
Si abitua presto a vincere, spesso da capitano, nelle selezioni giovanili. Iniziano i paragoni con Tardelli, che certo inorgogliscono. Ma gli piace meno l’altro soprannome, “Principino”, una creazione del giornalista Paolo Ziliani. Un nomignolo, diceva a “Style” del Corriere della Sera nel 2013, “che comincia a preoccuparmi…. Perché se sul campo sei visto come un principino qualcosa non va, magari sei troppo lezioso… Sono 50 per cento fabbro, 50 per cento principe. A centrocampo si fa anche il lavoro sporco, si mostrano i denti: non sono un raffinato trequartista”.
Balzaretti, invece, lo chiamava “Piccolo Lord”. “Cerco però di vestire con raffinatezza. A prescindere che sia in jeans e pullover piuttosto che in giacca. Come mi piaccio di più? Con un bel vestito, scarpe classiche, camicia e anche cravatta quando mi va” raccontava nella stessa intervista.
Marchisio debutta nel 2006, in Serie B, con Deschamps in panchina, nel momento più buio della storia della Juventus. Non era facile ereditare il posto di Patrick Vieira, passato all’Inter dopo l’estate di Calciopoli. Gioca 25 partite, l’Italia e l’Europa si accorgono di lui: nel 2009 il Times lo inserisce fra i 50 giovani più promettenti al mondo.
Torino è una città che gli somiglia, che abbraccia i suoi calciatori ma non ne invade la sfera privata. Marchisio rimane un family man, un ragazzo che ha avuto un solo dubbio. Andava ancora a scuola, si allenava cinque volte al giorno e voleva più tempo libero. Sua mamma, che aveva lasciato il lavori di assicuratrice per seguirlo, gli dà uno dei consigli più importanti della sua vita. “Senza pressioni, mi disse che dovevo ovviamente scegliere io con la mia testa ma di tenere presente che i sacrifici oggi portano sempre a qualcosa di buono domani. E aveva ragione”.
Il racconto a Rivista Studio è datato 2013, tre anni dopo che Marchisio ha indossato per la prima volta la fascia di capitano della Juventus, contro il Fulham nel 2010. Ne erano passati sette dal suo esordio assoluto in prima squadra, il 19 agosto 2006 in Coppa Italia contro il Martina (3-0). Giocherà oltre trecento partite con la maglia della Juve: la sua è esposta nella Hall of Fame bianconera.
Diventa anche uno dei simboli della nazionale. Marcello Lippi lo inserisce tra i 23 per i Mondiali del 2010, Prandelli lo schiera titolare in tutte le partite dell’Europeo 2012 che si chiude con la sua delusione più amara, lo 0-4 in finale contro la Spagna. Segna anche il gol del vantaggio per l’Italia nella prima partita del Mondiale 2014 contro l’Inghilterra. E’ di sicuro il più importante dei cinque realizzati con la maglia azzurra.
“Claudio è già una leggenda” diceva Andrea Agnelli dopo il rinnovo di contratto firmato nel 2015, come ricorda Alessandro Frau dell’agenzia Agi. Agnelli ne parla come del “punto di contatto tra la Juve di ieri, di oggi e quella di domani. Poteva già essere considerato un senatore, ma ora, con questo rinnovo di cinque anni, lo è a tutti gli effetti. Questo è un onore, ma anche una responsabilità, perché toccherà a lui e ad altri suoi compagni che hanno anzianità di spogliatoio, spiegare cos’è la Juventus ai nuovi giocatori”.
Arriva dalla stagione della sua consacrazione caratteriale, spiega Buffon al sito dell’Uefa proprio quell’estate. “E’ un ragazzo che adesso ha piena consapevolezza del proprio valore, un ragazzo intelligentissimo tatticamente e tecnicamente molto valido. In più ricopre tanti ruoli a centrocampo svolgendo sempre bene il suo lavoro, per cui è un polivalente”.
Il 2016, però, segna l’inizio di un periodo di dubbi ma senza bellezza. Chiude due stagioni di fila senza segnare, si rompe il legamento crociato e si rende conto che il suo posto non è più in prima fila. Marchisio diventa una comparsa nella squadra che ha segnato la sua storia.
Non è un caso se nell’anno dell’arrivo di Cristiano Ronaldo, nell’estate in cui la Juve cambia verso anche dal punto di vista societario, Marchisio parta per la Russia. Allo Zenit festeggia un titolo amaro perché nell’aprile 2019 si rompe ancora il menisco del ginocchio destro e finisce in anticipo la stagione. E prima dell’inizio della nuova stagione, rescinde il contratto con i russi.
Marchisio rimane un calciatore atipico, che ha alzato lo sguardo sul mondo ma non ha smesso di sentirsi parte di quella Torino che, come disse Gianni Agnelli, “ricorda le antiche città di guarnigione: i doveri stanno prima dei diritti, l’aria è fredda e la gente si sveglia presto e va a letto presto, l’antifascismo è una cosa seria, il lavoro anche e anche il profitto”. Un simbolo che andava agli allenamenti in giacca e camicia, che usa i social network anche per prendere posizione su questioni umanitarie, sulla crisi climatica. Un calciatore “engagée”, meno individualista e più genuinamente disposto a dire la sua senza per questo volersi ergere a esempio. Vuole solo essere un padre che non insegna ai suoi figli solo come tirare due calci a un pallone.
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