Quattro partite, quattro vittorie, una prova. Antonio Conte ha cambiato l’Inter. Il successo nel derby ha confermato la superiorità dei nerazzurri nello scontro diretto e la direzione di sviluppo del nuovo corso della squadra. Conte vince attraverso la solidità difensiva, la copertura del campo, la rapidità nelle transizioni e l’esaltazione di un attaccante come Lukaku che già avrebbe voluto al Chelsea.
L’arrivo di Diego Godin lasciava intuire in estate la volontà di un cambio di passo anche in termini di personalità. In una Serie A caratterizzata da over 30 ancora in grado di fare la differenza, l’uruguayano si è già preso il ruolo di guida della difesa. Nelle ultime due partite di campionato che ha giocato, contro Udinese e Milan, Godin è risultato il centrale che ha vinto più duelli difensivi. Nel derby ha neutralizzato la mossa di Giampaolo di partire con Leao, un classico attaccante esterno, titolare per costringerlo fuori posizione e tentare di facilitare gli inserimenti da dietro: un piano mai effettivamente realizzato. Con De Vrij e Skriniar a cui affidare l’uscita bassa del pallone, per Brozovic o per gli esterni che giocano a tutta fascia, Godin completa un trio solido, che non soffre l’uno contro uno, ed è un aspetto decisivo considerato che il 3-5-2 è un modulo che inevitabilmente finisce per allungare la squadra. L’ex Atletico Madrid compone una difesa sicura sulle palle alte, che può anche permettersi un pressing più basso e di concedere più campo negli spazi di mezzo agli avversari. Infatti non pressa in maniera così decisa sull’uomo, concede 9.44 passaggi per azione difensiva (settima in A) e risulta solo decima per duelli difensivi riusciti in campionato. Ma rimane la miglior difesa della serie A e la squadra che ha subito meno tiri.
Se si guardano le mappe dei passaggi dell’Inter nelle ultime partite, si nota l’evidente ricerca di simmetria nella costruzione del gioco e un uso controllato dell’ampiezza. Nel derby, infatti, più degli esterni D’Ambrosio e Asamoah, comunque importanti per mantenere la compattezza verticale in fase di non possesso e offrire una prima direzione di passaggio ai difensori, Conte ha costruito il fondamentale vantaggio competitivo in mezzo, con Brozovic e le mezzali, Sensi e Barella.
All’inizio dell’anno, sembrava che Brozovic e Sensi dovessero essere uno l’alternativa dell’altro. Invece Conte ha messo all’ex Sassuolo il vestito da mezzala che era stato di Vidal nella sua Juve. L’ha reso il secondo violino di Brozovic, più coinvolto vicino alla porta. Ne esalta la versatilità da “tuttocampista” che gli permette anche di usarlo in posizioni diverse e di adattare la configurazione del centrocampo agli avversari e ai momenti della partita.
A Brozovic, ha affidato al croato la regia della squadra. Rispetto a un anno fa, occupa una zona di campo comparabile e distribuisce sempre 77 palloni di media ogni 90 minuti. Ma nella gestione Conte riceve sei passaggi in più, anche perché il tecnico gli chiede di abbassarsi vicino ai difensori nell’avvio della costruzione del gioco.
Brozovic è il cervello della manovra, che beneficia di una mezzala come Sensi che sembrava lontano dalla tipologia di giocatore funzionale al calcio di Conte. Il croato, ha detto il tecnico in conferenza stampa prima del derby, “può adesso contare su due mezzali. Io sono molto contento di lui, può ancora migliorare in maniera considerevole. Se si mette in testa di diventare uno dei migliori centrocampisti d’Europa, può sicuramente riuscirci”. Torna, dunque, il motto che dal 2-0 al Milan diventerà probabilmente l’etichetta intorno alla quale costruire l’identità, la mentalità da qui alla fine della stagione: “Se vogliamo, possiamo”.
L’Inter può perché Sensi, che a Massimo Moratti ha ricordato il primo Sneijder, porta la sveltezza della giocata nello stretto. Perché Barella sembra riuscire a razionalizzare, incanalare il suo desiderio di partecipare al recupero energico del pallone e partire in progressione con la palla, occupando una porzione di campo più ristretta e definita. È meno “anarchico” ma non per questo meno efficace.
In attacco, poi, per quanto non sia ancora al 100%, Lukaku si è confermato un attaccante in grado di avere un impatto significativo da subito. In tutte le ultime quattro stagioni, infatti, il belga ha segnato almeno tre reti in campionato nelle sue prime quattro presenze. Conte, spiegava l’Independent nel 2017, l’avrebbe voluto già quando allenava il Chelsea. Allora Lukaku giocava nel Manchester United ma il tecnico leccese era convinto che, per rendere al meglio, non dovesse giocare così tanto spalle alla porta come gli chiedeva di fare Mourinho. Avrebbe voluto vedere il belga giocare più in campo lungo, in progressione, per allargare il campo e dettare la profondità. Esattamente quello che gli sta chiedendo di fare all’Inter.
Capace anche di dialogare con i compagni, Lukaku facilita lo scorrimento del pallone nella trequarti offensiva. Non a caso l’Inter è terza in Serie A, rivelano i dati Wyscout, per passaggi completati per ogni minuto di possesso palla, 16.3, dietro solo a Napoli e Sassuolo. I nerazzurri riescono a completarne 18.93 per ogni azione difensiva avversaria: l‘Inter è la squadra che meglio reagisce al pressing avversario.
La concorrenza tra Alexis Sanchez e Lautaro Martinez, che a giudicare dalle prime partite e dall’andamento del derby si integra benissimo con Lukaku, non potrà che agevolare la stagione dell’Inter. La rivalità positiva, con due competizioni da portare avanti, è un valore aggiunto. Il Conte “obamiano” ringrazia e sogna in grande.
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